'Stop alla concorrenza sleale del grano dalla Turchia’ e il sindaco Giulio Borrelli va a Bruxelles

A far crollare il prezzo del grano duro italiano sul mercato – secondo Coldiretti - ci sono due fattori fondamentali: l’aumento dei prezzi del grano duro canadese ora a 450 euro la tonnellata che, secondo le ultime stime del ministero dell’Agricoltura di Ottawa, confermano un ribasso della produzione del 29,9% rispetto al 2022 per colpa della forte siccità e degli incendi di questa estate. Il secondo fattore ad agire come "chicco che fa traboccare il vaso" per i cerealicoltori italiani, sarebbe stato il prepotente ingresso sul mercato da parte del frumento turco, che sfonda la porta con un prezzo che si aggira tra i 360 e i 390 euro alla tonnellata. E la protesta, per questa situazione, parte dall'Abruzzo, in particolare dalla Val di Sangro, per arrivare direttamente all'Ue. 

Alla fine di settembre il prezzo del grano duro italiano risultava calato del 26% rispetto allo stesso mese del 2022, dichiara la stessa Coldiretti.

Secondo i dati di Ismea mercati, sulla piazza di Foggia (Fg), la più indicativa a livello nazionale per il prezzo del grano duro italiano, al 4 di ottobre si sarebbe arrivati alla soglia dei 347,50 euro a tonnellata. Chiara reazione dei mercati per sopperire all’aumento del prezzo del grano canadese e alla schiacciante offerta del grano turco.

In Turchia i prezzi di acquisto del grano duro, come di altre commodity, vengono fissati dall'autorità statale, una pratica vietata dal diritto europeo sulla concorrenza. Per il 2023 il grano duro è stato fissato in 345 euro alla tonnellata il 6 giugno scorso, un valore che seppur innalzato dal Governo turco, è poi diminuito per effetto della svalutazione della lira turca.

In parole povere Ankara starebbe calmierando i prezzi sul grano duro destinato all’esportazione abbassandoli drasticamente rispetto a quelli praticati sul loro mercato interno con il solo scopo d'impadronirsi dei mercati esteri. Questo fenomeno di concorrenza sleale sui mercati, chiamato in gergo finanziario "dumping", è rigorosamente vietato già da svariati anni dall’Unione europea.

Ma il Governo allora come starebbe spendendo i soldi pubblici in favore del grano made in Italy? Cosa si è fatto per prevenire questa situazione e a questo punto cosa si può fare per salvare la situazione attuale facendo tornare i prezzi quantomeno stabili?

“Non si può continuare a finanziare con le risorse della fiscalità pubblica l'attività d'importazione, fingendo di aiutare i produttori nazionali – il j’accuse è dell'ex senatore Saverio De Bonis di Forza Italia che continua-: Così la filiera italiana viene distrutta perché molti di questi importatori beneficiano di risorse pubbliche per realizzare centri di stoccaggio che, nell'ambito delle filiere nazionali sul made in Italy, dovrebbero immagazzinare grano italiano e differenziarlo. In realtà i silos vengono utilizzati per stoccare grano straniero. Anche molte cooperative, dopo aver ricevuto finanziamenti pubblici per agevolare lo stoccaggio di grano italiano dei propri soci, affittano i silos a commercianti e importatori per stoccare grano straniero. Occorrerebbe vietarlo per legge, regolamentare in maniera più stringente l'erogazione dei benefici pubblici e controllare l'effettiva destinazione d'uso attraverso una rigorosa tracciabilità". 

Tutto questo però non starebbe avvenendo, permettendo al frumento turco di cadere come una falce su tutta la filiera produttiva cerealicola italiana. Per questo motivo si sarebbe deciso di inviare un comunicato direttamente al Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, il polacco Janusz Wojciechowski. Comunicato partito dal sindaco di Atessa (Ch), Giulio Borrelli, che si è recato direttamente a Bruxelles.

“Quando il sindaco di Atessa, in visita al Parlamento Europeo, ci ha messo al corrente della petizione organizzata dagli agricoltori – riferiscono le prime firmatarie dell’interrogazione, le europarlamentari Elisabetta De Blasis (indipendente), Rosa D’Amato (Verdi europei) e Pina Picierno (Pd) - abbiamo ritenuto fondamentale adoperarci per mettere in risalto la questione con i vertici europei. Proteggere la nostra agricoltura e la salubrità dei prodotti italiani è di primaria importanza. Per questo abbiamo fatto il possibile per avere un sostegno bipartisan fra i nostri colleghi in modo da puntare l’attenzione sul tema e impedire che comportamenti scorretti finiscano per danneggiare il nostro tessuto produttivo agricolo". 

La piccola “rivolta del grano” partita da Atessa (Ch), accresce le sue fila trovando quindi sostenitori non solo nei produttori abruzzesi, pugliesi e di altre regioni, ma anche negli europarlamentari già citati e in altri come Paolo De Castro (Pd), Carlo Fidanza (Fdi), Denis Nesci (Fdi), Matteo Adinolfi (Lega), Isabella Tovaglieri (Lega), Maria Angela Danzì (M5s), Camilla Laureti (Pd), Piernicola Pedicini (Verdi europei) e Matteo Gazzini (Lega). Unioni di più bandiere e colori politici che chiedono a gran voce un intervento significativo ponendo fine al dumping della Turchia; una questione presa sotto gamba dal nostro Governo nazionale e che minaccia di ripercuotersi non solo sull’intera filiera produttiva del grano italiano ma successivamente anche sui consumatori.

Il testo del comunicato inviato a Bruxelles recita: “Il prezzo del grano duro nelle Borse italiane sta subendo una drastica riduzione a causa della massiccia importazione, soprattutto dalla Turchia. E' fondamentale che la Commissione Europea si adoperi al più presto per evitare che gli agricoltori italiani, già duramente provati dell’aumento dei costi di produzione e dalla siccità, siano annichiliti da una concorrenza sleale proveniente da Paesi extra Ue". 

La palla passa ora al Parlamento europeo, avvisato dei rischi che cerealicoltori e consumatori italiani stanno correndo e consapevole ora di come anche da un piccolo paese come Atessa possa germogliare il seme della rivendicazione. 17 ott. 2023

MARIANO PELLICCIARO

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