Pipì negata durante il turno di lavoro: Corte d'Appello conferma condanna per Sevel

Pipì negata durante il turno in fabbrica. La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza 229/2020, ha rigettato l’appello presentato dall'azienda del Ducato, confermando la sentenza del 23 settembre 2019 del tribunale di Lanciano, che ha "condannato" la Sevel di Atessa  per aver impedito ad un operaio di andare in bagno.

Il dipendente "non fu autorizzato all’abbandono della postazione di lavoro per recarsi ai servizi igienici" e fu costretto a farsela addosso. L'azienda del Ducato deve ora corrispondere un "giusto risarcimento del danno, ossia 5 mila euro, con relativo pagamento delle spese legali". I fatti furono denunciati dall'Usb - Unione sindacale di base, che ha portato la questione davanti ai giudici. 

Erano le 16.45 del 7 febbraio 2017 e l'uomo "avvertiva la necessità di recarsi ai servizi igienici - come è spiegato nella sentenza di primo grado - . Azionava il dispositivo di chiamata-emergenza al fine di potersi allontanare dalla postazione di lavoro nel rispetto della procedura, ma nessun preposto, ossia team leader, si è recato nella sua postazione. Ha dunque azionato il dispositivo di chiamata- emergenza della postazione vicina, con esito negativo". Ha quindi chiesto ai team leader che si trovavano nei paraggi il permesso di potersi allontanare per andare ad urinare, "senza ottenere risposta positiva".

"Resisteva - viene aggiunto - per quanto possibile... Ma, giunto allo stremo, e non avendo alternativa alcuna, lasciava la postazione e correva verso i servizi igienici, non riuscendo ad evitare di minzionarsi nei pantaloni. Nonostante ciò riprendeva immediatamente il suo lavoro; chiedeva di potersi cambiare in infermeria, ma tale permesso gli veniva negato".  Il malcapitato riuscì a cambiarsi solo durante la pausa, alle 18, presso il cosiddetto "Box Ute", al cospetto di tutti i lavoratori vicini, donne comprese".  

Ad assistere il lavoratore è stato l'avvocato Diego Bracciale Diego che è riuscito a far confermare le decisioni di primo grado. "Sono soddisfatto per il risultato ottenuto - dice - e felice per il mio cliente, oggi divenuto un caro amico, per una questione che lo ha mortificato, prima di tutto come uomo. Gli auguro ogni bene, nella speranza che adesso possa essere messa definitivamente una pietra sopra questa vicenda". 

I giudici d’Appello hanno respinto tutte le eccezioni presentate da Sevel, ribadendo che il "datore di lavoro ha arrecato concreto e grave pregiudizio alla dignità personale del lavoratore nel luogo di lavoro, al suo onore e alla sua reputazione, indubbiamente derivante dall’imbarazzo di essere osservato dai colleghi con i pantaloni bagnati".

"Un verdetto - fa presente l'Usb - che fa giustizia e restituisce al lavoratore in parte la dignità che rimane irrimediabilmente lesa per le conseguenze che la vicenda ha generato in lui a livello morale e psicologico".

"Il percorso giudiziario - rileva ancora il sindacato - non è concluso poiché a suo tempo Sevel ha presentato una querela per diffamazione aggravata col mezzo della stampa nei confronti del lavoratore coinvolto e del rappresentante sindacale dell’Usb, Fabio Cocco, sostenendo di aver informato i media di situazioni non vere. All’esito delle indagini la Procura di Lanciano ha depositato richiesta di archiviazione non ritenendo fondata la querela del colosso metalmeccanico". Su questo è attesa la decisione del giudice. 

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