Facevano opera di proselitismo e propaganda per l'associazione e pianificavano attentati, anche suicidari, contro obbiettivi civili e militari in territorio estero. Tre palestinesi, residenti a L'Aquila, sono stati arrestati con l'accusa di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico.

Le indagini, della Digos e della Direzione centrale della polizia di prevenzione, hanno permesso di accertare l’esistenza di una struttura operativa militare chiamata "Gruppo di Risposta Rapida - Brigate Tulkarem", una costola delle “Brigate dei martiri di Al-Aqsa” riconosciute dall’Unione europea come organizzazione terroristica, dedita al compimento di atti di violenza. Si tratta di "un'unità suicida, pronta ad agire in profondità" e l'azione della nuova organizzazione sarebbe stata "prossima" ".

L'organizzazione prende il nome dall'omonima città nel nord-ovest della Cisgiordania dove l'insorgenza armata è ripresa alla fine del 2021 su impulso dell'allora 20enne Seif Abu Labadeh, che creò una cellula armata sotto l'ala della Jihad islamica. Labadeh venne ucciso in un'imboscata israeliana tra Tulkarem e Jenin nell'aprile 2022. Separatamente nell'ottobre 2022 a Tulkarem emerse un secondo gruppo militante che si richiamava alla 'Fossa dei Leoni' di Nablus, chiamato 'Il Nido dei Falchi'. Nel frattempo, due giovani palestinesi nati nei campi profughi della città avevano rilanciato il braccio armato di Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Uno di loro era il 24enne Ameer Abu Khadija. Laureato qualche anno prima, aveva lavorato come poliziotto nelle forze dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) e poi, dopo essere stato licenziato, nel settore edile. L'altro era Jihad Shehadeh, figlio di un ex membro del gruppo delle 'Pantere Nere' di Fatah. formarono un movimento che si autoproclamò parte delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa chiamato 'Risposta Rapida'. Il nome era un tributo al leader delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa a Tulkarem durante la seconda Intifada, Raed Al-Karmi, a cui fu dato questo soprannome perché lanciò attacchi di ritorsione immediati contro obiettivi israeliani. Alla fine di febbraio 2023, le forze israeliane uccisero 11 palestinesi in un raid a Nablus e ne ferirono circa 100. In risposta al massacro, i tre gruppi di resistenza di Tulkarem unirono le forze sotto il nome combinato di 'Brigate Tulkarem - Risposta Rapida'. 

Le custodie cautelari sono state eseguite in esecuzione di un'ordinanza emessa dal gip  distrettuale di L'Aquila, Marco Billi, su richiesta della Dda dell'Aquila, in coordinamento con la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Sotto accusa sono Anan Kamal Afif Yaeesh, Ali Saji Ribhi Irar e Mansour Doghmosh.

Tutti hanno il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie: uno per protezione internazionale, uno per protezione speciale, il terzo perché rifugiato. 

I primi due, si legge nell'ordinanza del giudice, "manifestavano le finalità terroristiche del Gruppo di Risposta Rapida tese a organizzare attentati suicidari, anche mediante l'impiego di autobombe, in territorio israelo palestinese, in particolare in Cisgiordania (West Bank), nella città di Tulkarem, in danno di obiettivi israeliani civili e militari". 

Anan Yaeesh, 37enne, vive e lavora dal 2017 a L'Aquila ed è già detenuto a Terni dopo essere stato arrestato il 27 gennaio scorso su richiesta di Israele che ne chiede l'estradizione. I suoi avvocati, Flavio Rossi Albertini e Stefania Calvanese, hanno depositato una istanza alla Corte d'appello dell'Aquila per chiedere la revoca della misura cautelare. Il palestinese è accusato dalle autorità israeliane di avere finanziato un gruppo armato del campo profughi chiamato Tulkarem Brigade. Per i legali, in caso di estradizione, ci sarebbe il ''rischio concreto ed effettivo che Yaeesh, venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti'' compresa ''la tortura''. Dall'analisi di alcune conversazioni via Telegram tra Anan Kamal Afif Yaeesh e Jihad Maharaj Ibrahim Shehadeh, quest'ultimo ucciso in un conflitto a fuoco a Tulkarem con l'esercito israeliano, "emerge con chiarezza il ruolo apicale, di capo e di organizzatore, rivestito da Anan Yaeesh".

Venivano svolte "attività finalizzate alla creazione di video di propaganda in cui figurano miliziani armati intenti in attività di addestramento militare e all'uso delle armi di giovani reclute e bambini, corredato da canti e musica nashid di adesione ideologica e identità combattente".

 Dall'analisi del profilo Facebook di Anan Yaeesh è emerso un post dallo stesso pubblicato, contenente un'immagine che ritrae "un miliziano, all'interno di una autovettura, armato di fucile mitragliatore e con in pugno una pistola, che indossa un cappello con una fascia gialla recante stemma ed iscrizione simbolo delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa". Un'altra istantanea invece ritrae "13 uomini, alcuni armati di mitra". Tra loro identificati quattro soggetti che, il 6 novembre 23, erano stati uccisi a Tulkarem in un conflitto a fuoco con l'esercito israeliano. Due dei tredici erano appartenenti alle ''Brigate dei Martiri di Al-Aqsa''.

Ali Saji Ribhi Irar è ritenuto dagli inquirenti "pienamente coinvolto nell'attività dell'organizzazione terroristica". "E' da considerare in primo luogo, per comprendere la vicinanza e la fiducia reciproca tra Anan Kamal Afif Yaeesh e Ali Saji Ribhi Irar, che i due vivono insieme a L'Aquila", in un appartamento preso in affitto". Inoltre "condividevano dati, informazioni ed elementi conoscitivi in relazione sia all'attività organizzativa delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, sia alla costituzione ed alla prima organizzazione del nuovo Gruppo di Risposta Rapida - Brigate Tulkarem, sia alla gestione economica del sodalizio". Quanto al ruolo del terzo arrestato, "Mansour Doghmosh appare, allo stato, indubbiamente di minore rilievo rispetto a quelli di Anan Kamal Afif Yaeesh e Ali Saji Ribhi Irar". Dall'attività di indagine finora compiuta, infatti, Doghmosh Mansour sembra essere "un mero partecipe dell'organizzazione terroristica della quale, tuttavia, condivide attività operative e obiettivi".

Secondo il giudice il gruppo si è organizzato "in modo non rudimentale, ma accorto e calibrato all'ottimizzazione del risultato". Il centro decisionale e direttivo del sodalizio -  sottolinea - è stato posto volutamente all'estero (rispetto alla Cisgiordania e a Israele) per poter fuggire ai controlli israeliani ed è stata individuata come base logistica la città di L'Aquila, posta nelle vicinanze di Roma, ma "in posizione più defilata e nascosta". Nella misura si osserva che "gli atti di terrorismo programmati e pianificati appaiono dichiaratamente rivolti contro lo Stato di Israele (la popolazione civile, l'organizzazione militare e le strutture politiche di quel Paese)", anche se da alcuni spunti dell'indagine "non appare possibile escludere che possano essere compiuti anche in Italia, non necessariamente soltanto nei confronti di obiettivi israeliani". 11 mar. 2024

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