Gli artigli della mafia di Foggia su aziende di Pescara: otto arresti e sequestro beni per due milioni
Gli artigli della mafia pugliese sulla provincia di Pescara. Undici misure cautelari personali, ingenti sequestri di beni e decine di perquisizioni tra le province di Pescara, Foggia e Grosseto.
 
Al lavoro dalle prime luci dell’alba, i militari del Comando provinciale di Pescara della Guardia di Finanza, col supporto del locale Reparto operativo Aeronavale e la collaborazione delle Fiamme Gialle foggiane, hanno eseguito, lungo l’asse adriatico, i provvedimenti disposti dal gip del Tribunale di L’Aquila, nei confronti di personaggi di spicco della cosca "Società Foggiana".
 
Effettuati 8 arresti, metà in carcere e metà ai domiciliari; notificati un obbligo di dimora e due obblighi di firma. Sigillati, poi, due immobili a Pescara e Grosseto; 300.000 euro in contanti, e un vasto paniere di quote di 5 società del Pescarese, per un valore complessivo di 2 milioni, sottratti alla disponibilità del sodalizio criminale.
 
L’operazione è stata condotta dai militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Pescara nell’ambito delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo della Procura della Repubblica di L’Aquila.
 
Le indagini, i pedinamenti e le intercettazioni telefoniche ed ambientali di oltre 700.000 conversazioni, hanno svelato i rami del business del clan "Moretti – Lanza – Pellegrino" nel Pescarese: usura, estorsione, ricettazione ed intestazione fittizia di beni.
 
Un giro d’affari d'oro che, nel tempo, ha consentito alla cosca pugliese di infiltrarsi nel tessuto socio economico di Pescara, inquinandone, con il metodo mafioso, la vivace realtà produttiva, tramite i traffici illeciti e gli investimenti in aziende di spicco del territorio.
Tra queste, anche quella di una nota famiglia di imprenditori del settore della ristorazione, vittima di tassi d’interesse fino al 600% al mese. Per un prestito di 100 mila euro, infatti, non potendo onorare il debito, gli imprenditori sono stati costretti a chiudere la partita con gli strozzini, simulando un comodato ad uso gratuito a tempo indeterminato prima, e, un contratto di affitto dopo, dell’appartamento di proprietà nel centro di Pescara, dal valore di 400-500 mila euro.
 
In molti casi poi, alcuni imprenditori sono stati bersaglio di minacce, aggressioni ed estorsioni; altri hanno dovuto assumere come dipendenti i loro usurai o persone a loro riconducibili. L’impiego, spesso puramente formale, ha permesso a qualcuno di questi la percezione indebita dei contributi previsti per il sostentamento dell’emergenza Covid, senza aver mai lavorato. 
 
Gli accertamenti hanno fatto emergere anche l’esistenza di un canale di ricettazione di accessori di lusso, bottino di un ingente furto avvenuto nel Foggiano, rivenduto sulla piazza di Pescara da uno degli affiliati al clan.
Ad inquinare ulteriormente l’economia del Pescarese, anche l’intestazione fittizia di società, attraverso un unico soggetto, sempre pregiudicato. Una “testa di ponte”, che a sua volta ricorreva a terzi prestanome per controllare ben cinque attività imprenditoriali, nel settore automotive, in quello dei prodotti agroalimentari e, addirittura, nella fornitura di contratti di energia elettrica.
 
Le risultanze delle indagini hanno confermato che il modello ispiratore delle mafie è sempre più di tipo affaristico- imprenditoriale, rivolto all'infiltrazione economico-finanziaria. "Da qui, - rimarcano le Fiamme Gialle - la strategicità dell'aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale, per evitare l’inquinamento e il saccheggio parassitario dei mercati e garantire legalità, trasparenza e sicurezza pubblica". 14 mar. 2023
 
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