Quasi una favola del... mare. Anna Maria Verzino, pescatore da 78 anni
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Le mille storie del mare. I mille racconti di una esistenza scivolata... tra le onde. Lei è uno scrigno di aneddoti. E di consigli. E' una che il mare lo conosce, lo comprende, lo scruta e lo spoglia dei misteri. Caricandolo di magia. Lei che in quella piccola imbarcazione, ormeggiata, a Casalbordino (Ch), su un lembo di spiaggia ancora concesso dall’erosione, ci ha passato tutta una vita. Al timone, nel suo impermeabile giallo, a tirare le funi, a slargare le reti. Ad acchiappare cefali, mormore, sogliole, canocchie… Ha  83 anni Anna Maria Verzino e da 78 fa il pescatore. "La mia è vocazione", precisa. Ha cominciato che era uno scricciolo, era minuta e puntigliosa. E, con un chiodo fisso... "Avevo cinque anni – spiega – quando, dopo aver pianto per mesi, convinsi mio padre a portarmi in mare. Lo sentivo uscire ogni giorno prima dell’alba. Mi alzavo e lo supplicavo. Per un po’ non c’è stato niente da fare. Ma ad un certo punto, forse stanco delle mie lacrime, ha ceduto. L’idea, sua, era di dissuadermi: credeva che, di notte, lì, tra onde grosse e nere, mi sarei spaventata e avrei rinunciato". Invece dalla barca non è più scesa. "Quel primo giorno, scrutando l’immensità che mi circondava, mi sono chiesta: ma quanto è grande?"

Il nonno era un capostazione originario di Poggio Imperiale: ai primi del ’900 fu trasferito al casello di Casalbordino. Così pure suo padre, Donato, finì a lavorare nelle Ferrovie. Ma nel ’34 si è sposato e si è licenziato. "Con i soldi guadagnati e le 3 mila lire portate in dote da mia madre Elena ha acquistato la prima barca. Con lui, da queste parti, è attecchita la tradizione della pesca". Che lei porta avanti. "A 14 anni mi ha affidato per la prima volta i remi: vai a ritirare le nasse delle seppie, mi ha ordinato. Col buio. Ero sola, e fiera. Ho riportato indietro quel che mi è stato chiesto, senza difficoltà. E ho avuto la sua definitiva benedizione: ti sei maritata col mare, ha sentenziato". E, da quel dì, lei è stata e resta... la sposa del mare. Per diventare ufficialmente pescatore ha dovuto attendere la legge sulla parità dei sessi. "Prima ero abusiva. Appena avuto l’opportunità mi sono presentata negli uffici della Capitaneria di porto ad Ortona e ho avviato le pratiche. Erano maschi e tutti scettici - racconta -. Ho superato le prove di abilità, quali il nuoto, e gli esami. E hanno dovuto concedermi la licenza e farmi iscrivere al registro dei pescatori". La prima in Abruzzo, forse anche in Italia. Il passo successivo è stato di ordinare una nuova barca "da mastro Filippo Bruno, il calafato di Ortona. Ho seguito personalmente le operazioni di realizzazione dello scafo".

Da un pezzo è l’armatore di “Gloria”. E le capita di avere alle proprie direttive il nipote, Rossano, o il fratello, che l’accompagnano. "Quando il pescato abbondava nessuno lo comprava - fa presente -. A volte tornavamo stracarichi. Assieme a mia madre raggiungevo, con i cesti colmi, le stazioni di San Vito Chietino e Termoli per vendere ai passeggeri. Ci capitava di rimanere deluse, perché in pochi acquistavano. Su, domani sarà diverso, ci facevamo coraggio. La pesca, a lungo, è stata l’unica fonte di sostentamento. Capitava che scambiassimo, con i contadini, i frutti del mare con quelli dei campi. Alla fine degli anni Cinquanta, con la miseria alla porta, mio padre si è attrezzato per prendere le vongole: è stato il primo, geniale l’idea. Ne raccoglievamo cataste e le spedivamo in altre regioni. Così abbiamo tenuto lontano la povertà e la fame". Alle 3, ogni giorno, è pronta a salpare. "Prepariamo un po’ di caffè e via... Il mare è amico e non tradisce. Solo la nebbia crea pericoli, ti inganna". Le basta dare un’occhiata alle nuvole, scrutare l’orizzonte con quegli occhi azzurro ghiaccio, per capire persino gli umori delle correnti e dei venti. Le piace lasciare "l’odore della terra alle spalle" e stare al largo, tra i vortici, la salsedine, le resse dei pesci azzurri. "I delfini che ti fanno arrabbiare - dice - perché ti circondano, aspettando di rubare il pescato. Uno la scorsa estate è rimasto impigliato nella corda del galleggiante. E' stato lì, mansueto, a pancia all’aria, finché non lo abbiamo liberato. Il mare non l’ho mai lasciato, non potrei: siamo inseparabili".

Serena Giannico

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