Morto a L'Aquila il mafioso Matteo Messina Denaro, stragista mai pentito di Cosa Nostra
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E' morto all'1.57 della scorsa notte, di lunedì 25 settembre, il mafioso Matteo Messina Denaro, 61 anni. 

E' deceduto dopo tre giorni di coma. Era ricoverato, sotto la vigilanza dell'Esercito, nel Reparto detenuti dell'ospedale "San Salvatore" dallo scorso 8 agosto, quando le sue condizioni erano peggiorate a seguito del tumore al colon diagnosticato circa due anni fa. 

Sulla salma, trasferita in obitorio, sempre sotto stretta sorveglianza, la Procura di L'Aquila e di Palermo hanno disposto autopsia. Poi il corpo sarà restituito alla famiglia e trasferito, in massima sicurezza, nella sua Castelvetrano (Trapani). In precedenza era stato rinchiuso nel carcere dell'Aquila e sottoposto al regime del 41 bis. 

Un killer spietato, amante della bella vita, l'ultimo uomo della stagione stragista. Era riuscito a fare sparire le sue tracce per trent'anni, grazie alla rete di complicità che aveva creato. Nelle ultime settimane all'ex primula rossa dopo l'intervento d'urgenza per il blocco intestinale, era stata somministrata la terapia del dolore. Tra momenti di lucidità e altri di grande sofferenza, è stato curato dal team di medici che lo hanno preso in carico dal giorno sel suo arrivo al carcere di sicurezza dell'Aquila. Lì gli hanno somministrato diversi cicli di chemioterapia, ma la malattia era ormai a uno stadio molto avanzato, al quarto.

Ma chi era Messina Denaro? Storico alleato dei Corlenonesi, è Paolo Borsellino a iscrivere il nome di Messina Denaro per la prima volta in un fascicolo giudiziario nel 1989. Da allora il boss viene raggiunto da mandati di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e numerosi altri reati. Qualche tempo fa è stata anche sentita la sua voce comparsa da un vecchio nastro processuale. Noto anche come 'U siccu' per la corporatura magra, l'ultimo capo dei capi è stato più volte vicino alla cattura negli anni.

Finisce nella lista dei ricercati il 2 giugno del 1993. Perché ritenuto colpevole di quattro omicidi e di associazione mafiosa. A 31 anni è ritenuto leader indiscusso delle nuove leve di Cosa nostra. Colui che ha traghettato la mafia dalle stragi a quella degli affari. Di lui, fino a quel momento, non si hanno foto segnaletiche né impronte digitali. L'ordinanza viene firmata dal gip dopo le accuse del collaboratore di giustizia Balduccio Di Maggio, lo stesso che fece arrestare il boss Totò Riina il 15 gennaio del 1993. Anche se il giovane Messina Denaro, che gira con il Rolex al polso e con vestiti firmati, ha già fatto sparire le sue tracce, prima ancora della misura cautelare perché intuisce l'aria che tira.

Nel '93 è un emergente ma molto in vista, proprio perché figlio di don Ciccio Messina Denaro, boss che verrà fatto ritrovare morto nel 1998, dieci anni dopo la sua latitanza, già vestito di tutto punto per il funerale. Il figlio Matteo è entrato nelle grazie del boss Riina che lo ha definito un 'picciotto in gamba', un ragazzo sveglio, insomma. Un enfant prodige di Cosa nostra, un giovane leone rampante su cui puntare. Riina lo apprezza molto. E fa affidamento su di lui. Diventa parte attiva dell'organizzazione mafiosa.

Decine gli omicidi che nel tempo gli vengono contestati. Entra in latitanza nel 1993, in piena epoca stragista, con le bombe a Roma, Milano, Firenze e, al tempo, è uno dei maggiori ricercati al mondo. A novembre di quell'anno si rende responsabile di uno dei fatti di sangue più macabri della sua carriera criminale, organizzando il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, 12 anni, figlio del pentito Santino Di Matteo, per costringere il padre a ritrattare le rivelazioni rese agli inquirenti sulla strage di Capaci. Il bambino viene strangolato a 14 anni e il cadavere sciolto nell'acido dopo una lunga e devastante prigionia, di 779 giorni.

Dopo aver eliminato nemici storici - i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - passa a colpire cittadini inermi, con l'obiettivo di destabilizzare il Paese e ottenere un alleggerimento delle condizioni carcerarie. Cosa nostra vuole creare ''una sorta di stato di guerra contro l'Italia'', da attuare con il ricorso a una precisa strategia di tipo terroristico ed eversivo, che andasse oltre i metodi e le finalità della criminalità organizzata visti sino a quel momento. Cosa Nostra, con quelle bombe, vuole ''costringere lo Stato alla resa''. Cosa nostra così compie un altro salto.

Gli investigatori sono stati alla sua ricerca per quasi 30 anni. Ci sono stati dei momenti in cui gli investigatori sono convinti di essere molto vicini a stanarlo. Certamente l'unico vero covo trovato fu quello di Bagheria (Palermo). Quando viene arrestata Maria Mesi, di recente è stata nuovamente indagata per favoreggiamento, gli inquirenti sono certi che la donna incontri il boss in un appartamento di Aspra, nel Palermitano. Nel nascondiglio vengono trovate dalla poizia tracce del capomafia: in frigorifero alcune confezioni di caviale e salse austriache. Poi una stecca di Merit, un foulard di Hermes e un bracciale prezioso acquistato in una gioielleria di Palermo. Su un tavolo giochi della Nintendo e un puzzle a cui manca un pezzo. La casa viene tenuta sotto controllo per un mese, ma qualcuno avvisa il capomafia, che smette di andarci. La Mesi viene condannata in primo e secondo grado per favoreggiamento aggravato. Mettendo i suoi telefoni sotto controllo gli investigatori erano riusciti a scoprire che riceveva chiamate da cellulari in uso al boss. Interrogata dalla polizia, affermò di conoscere il latitante esclusivamente per motivi professionali. Ma Messina Denaro è stato segnalato in questi anni pure in Sudamerica, a Dubai, nel Regno Unito, in Svezia, nei Paesi Bassi. Ma non c'è certezza. Lo dicono i collaboratori di giustizia. Tutto da verificare. L'unica certezza è che è stato in Spagna a curarsi gli occhi prima della sua lattanza. Ci sono sospetti che fosse andato anche dopo.

Nel 2010 un collaboratore di giustizia dichiara che Messina Denaro avrebbe assistito a una partita del Palermo allo stadio Barbera utilizzando l'occasione per incontrare altri boss con i quali organizzare attentati dinamitardi contro il palazzo di giustizia e la Mobile di Palermo. Nel 2015 l'emittente Radio Onda Blu avrebbe diffuso le immagini satellitari di una sua presunta abitazione a Baden in Germania e di una sua auto. Tra legami internazionali e sospetti di vicinanza alla politica, sarebbe sempre scampato alla cattura. L'arresto è avvenuto la mattina del 16 gennaio 2023 quando i carabinieri del Ros lo hanno circondato alla clinica La Maddalena di Palermo dove era in cura per il cancro che lo ha condotto alla morte.

La sua ricerca ha una svolta il 6 dicembre 2022. Da tempo gli investigatori monitorano uno dei pochi parenti stretti del boss ancora in libertà, Rosalia Messina Denaro, detta Rosetta, la più grande delle quattro sorelle. In alcune stanze della sua casa erano state installate delle microspie, ma non bastavano. ''Avevamo visto che lei, quando era in compagnia di altre persone, si spostava in altri locali - diversi da quelli controllati - per parlare'', hanno spiegato i Ros. Il 6 dicembre, quindi, i militari sono entrati in casa, alla ricerca di un posto in cui nascondere la ''cimice''. Pensavano di metterla nelle gambe cave di una sedia, ma all'interno vi trovarono un foglio scritto a mano che riportava informazioni sanitarie e date, con la progressione della malattia e le cure di una persona. Così è stata scritta la parola fine sulla latitanza.

Fino alla fine ha deciso di non pentirsi. Il 5 febbraio il Ros diffonde un audio di Messina Denaro intercettato in auto il 23 maggio 2022, nel trentennale della strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. "Questo telefono non mi prende stamattina e io qua, bloccato con le 4 gomme a terra, cioè non bucate, sull’asfalto, che non si muovono per le commemorazioni di ‘sta minchia'", dice ai suoi. 

Messina Denaro, da latitante, "ha goduto di una serie di protezioni a diversi livelli, da quello di chi gli procurava l'appartamento a quello che gli ha consentito di viaggiare in molte parti del mondo e su questo sono in corso le indagini'', come ha avuto modo di dire lo stesso procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dopo l'arresto. A quello che gli ha consentito di potersi curare con un nome e una carta di identità fittizia.

"Non sono un mafioso" e "non mi pentirò mai". Era il 13 febbraio scorso e Messina Denaro si trova, per la prima volta, davanti ai magistrati di Palermo che lo interrogano. Ad ascoltarlo il procuratore capo De Lucia e l'aggiunto Paolo Guido. "Io non voglio fare il superuomo e nemmeno l'arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia", dice. "Ora che ho la malattia non posso stare più fuori e debbo ritornare qua. Allora mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta". E dice che a Campobello di Mazara, dove viveva, sotto falso nome "mi sono creato un'altra identità: Francesco". "Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare". In quell'interrogatorio Messina Denaro afferma di non sapere cose fosse Cosa nostra e spiega: "Io mi sento uomo d'onore, ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali... magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra". E dichiara di non avere commesso i reati di cui lo accusano: "Stragi e omicidi... non c'entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare". In quella circostanza allontana da se anche l'ipotesi di avere svolto un ruolo nell'omicidio del piccolo Di Matteo. "Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l'omicidio del bambino non c'entro", sostiene. Per il boss decise tutto Giovanni Brusca, "e io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona. E poi a tutti... cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell'acido e alla fine quello a pagare sono io? Ma ingiustizie quante ne devo subire?". 

Non si è mai sposato, amava i bei vestiti, la bella vita, amava le donne, adorava circondarsi dal lusso, amava leggere. Ma non rispettava il Codice d'onore. E' stato l'evoluzione di Riina e Provenzano. Aveva voglia una voglia di affermarsi diversa, non solo la voglia del potere mafioso ma di quello personale. Leggeva e anche tanto. Sono stati diversi i libri, soprattutto di biografie, trovate nel covo.

25 set. 2023

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