"Ho lasciato Dachau, ma Dachau non ha lasciato me". Lo ripeteva sempre, Ermando Parete, di Abbateggio (Pe), morto ora, all'età di 92 anni. Orgoglioso, Ermando Parete; l'orgoglio e la fierezza della sua divisa da finanziere. Di aver combattuto per la patria. E poi il dramma, quello dei campi di sterminio,  in cui era stato catapultato, all'improvviso, e da cui era uscito vivo. "Con un obiettivo - diceva sempre - di raccontare ai ragazzi, agli studenti, alle nuove generazioni, perché devono sapere...". E per questo lui andava nelle scuole, di tutta Italia, a parlare ai giovani. E a loro riferiva quella sua storia particolare, di guerra, di resistenza, di vita...


Concluso il liceo ginnasio, l'11 maggio '42, era stato arruolato nelle Fiamme gialle e mandato alla Scuola alpina di Predazzo (Trento). Il primo novembre successivo era stato assegnato all'11 Battaglione mobilitato della Guardia di Finanza "dislocato in territorio di Jugoslavia". E qui restò fino all'8 settembre '43, data dell'annuncio dell'armistizio con gli alleati. Una data fatidica. "Fu l'occasione per dissociarmi - spiegava Parete - da una guerra che non sentivo più mia. Mi rifiutai di continuare a stare a fianco dei tedeschi. Per ciò fui preso e disarmato dalle truppe slave". Quando riuscì a farsi liberare, s'incamminò verso l'Italia, per le montagne. E, dopo varie peripezie, una notte approdò in Veneto. Ma a Cimadolmo (Treviso) fu catturato dalla Gestapo. Perché era un nemico. "Seguirono interrogatori spietati e feroci torture". Rinchiuso in celle sotterranee, tra i ratti. Percosso per giorni. Riempito di frustate. "Mi estirparono le unghie. Volevano notizie riservate...". 


Quindi, assieme ad altre migliaia di disperati, fu obbligato a salire e fu "inscatolato" su un treno: niente vagoni, ma carri bestiame. Si soffocava. "Stipati... Tante famiglie, tanti bambini... Senza acqua, senza bagni. C'era solo un secchio per i bisogni...". Destinazione? "Non lo sapevamo, ed era meglio non saperlo...". Destinazione Dachau, in Baviera, dove nel marzo del '33, con l'ascesa di Hitler al potere, era stato aperto il primo campo KZ (Konzentrantionslager) del Terzo Reich. E appena a terra sono cominciati i maltrattamenti, sotto i fucili spianati. "Ci tolsero gli effetti personali, i pochi rimasti. Ci fecero spogliare. Restammo nudi, le donne rasate nelle parti intime. Ci presero i documenti e li bruciarono. Ad alcuni strapparono i denti d'oro. Ci divisero. I più piccoli tolti dalle mani delle mamme. Perché inutili e improduttivi, e subito mandati a morte. Ci marchiarono e fummo spediti ai lavori forzati". 


Senza più nome, senza più identità. "Eravamo, da quel momento, uomini-numero". Lui era la matricola 142.192 . Tra aiuole traboccanti di fiori, giunsero alle stamberghe in cui avrebbero a lungo soggiornato. "I primi giorni non mi rendevo conto di cosa stesse succedendo - spiegava Ermando Parete -. Ebbi una casacca zebrata, con un triangolo rosso e zoccoli di legno duri e pesantissimi. E poi pala e piccone per scavare fossi". Alle 4 di ogni giorno la sveglia. "Eravamo incasellati, con ghiaccio e pidocchi". Quindi l'appello. Poi in colonna verso le postazioni di lavoro. "Dalle quali, sotto minaccia, tornavamo cantando". Mentre gli altoparlanti parlavano delle vittorie del Fuhrer. "Su di noi le belve... La morte era sempre lì, furente, ad un passo, a vigilare... Se non rispondevi all'appello? Ti ammazzavano. Se ti muovevi? Erano nerbate. E quante ne ho prese io... Perché non sapevo la traduzione tedesca del mio numero... E allora giù botte e sputi... Se ti sentivi stanco? Un colpo di fucile e ti spappolavano la testa... Quanti cadaveri, mucchi di cadaveri, mucchi di ossa, che ci facevano spostare e trasportare... Mentre le camere a gas erano sempre attive... E i camini vomitavano continuamente fumo...". 


E poi c'era la fame. "Quanta fame. Io mi sono salvato mangiando delle erbette che trovavo nel campo". Debilitati. "La maggior parte non si reggeva in piedi e quando non ti reggevi, sparivi. "La violenza era programmata, sistematica. Pestati, fustigati, seviziati... Ogni occasione era buona, secondo gli ordini, per... Fare pulizia. Il sangue scorreva a fiotti". Parete fu anche sottoposto ad esperimenti... "Mi infilarono in una vasca colma di ghiaccio per stabilire la resistenza umana al gelo". Molti non ce la fecero, lui sì. "Perché, io, ero abituato al freddo della Majella". Il 29 aprile '45, in attesa di essere ammazzati, spuntò la Settima Armata americana. E con essa la libertà. Lui è tornato ad essere il brigadiere Ermando Parete. Quindi la fuga dall'inferno, dalla Germania. Pesava 29 chili. Tornò a piedi nella sua casa in Abruzzo. Per lui, in paese, le campane suonarono a festa. "Quante volte - ricordava - in quel campo ho pensato di uccidermi, gettandomi contro il filo spinato elettrico. Ma ho resistito, perché dovevo raccontare. Li vedo ancora, talvolta, brandelli di cervello schizzar fuori dalle teste raggiunte da proiettili. I fantasmi non mi hanno mai lasciato". Ermando Parete se n'è andato nei giorni in cui tutto il mondo ricorda la Shoah. Nei giorni in cui lui era solito girare per gli istituti scolastici... per non far dimenticare... Aveva perso la moglie alcuni anni fa. Lascia un figlio, Donato. I funerali domani, alle 11, nella chiesa di Abbateggio (Pe). 25 gen. 16


Serena Giannico

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