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Sepolti sotto il ghiaccio e le macerie dell'albergo di lusso. Lo scorso 18 gennaio, a Farindola (Pe), una valanga devastò l’Hotel Rigopiano, al cui interno - tra ospiti e personale - erano in 40: molti avrebbero voluto ripartire, invece rimasero bloccati nella struttura perché l'unica via d'accesso, la provinciale 8, era sommersa da oltre due metri di neve e i mezzi per toglierla non arrivarono mai. Morirono  in 29; si salvarono in 11. Ci sono ora 23 indagati per quella sciagura. Tra loro il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco; il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta e l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, trasferito a Roma nelle scorse settimane con l’incarico di direttore dell’Ufficio centrale ispettivo presso il dipartimento dei Vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile. Provolo sarà interrogato il prossimo 12 dicembre.
I reati ipotizzati, dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia, sono quelli di omicidio e lesioni plurime colpose per tutta la catena dei soccorsi, che va dagli indagati della prefettura al Comune di Farindola. Per gli altri sono ipotizzati anche i reati di falso e abuso edilizio. Gli
avvisi di reato emessi dalla Procura di Pescara sono stati notificati oggi.

Questo l'elenco degli altri inquisiti: il direttore del resort Bruno Di Tommaso, anche per violazione dell’articolo 437 del codice penale avendo omesso il "collocamento di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro; il dirigente delegato alle Opere pubbliche, Paolo D’Incecco; il responsabile della viabilità provinciale, Mauro Di Blasio; il geometra comunale membro della Commissione valanghe Enrico Colangeli; Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio, Andrea Marrone, Luciano Sbaraglia, Marco Del Rosso, Massimiliano Giancaterino, Antonio De Vico, Antonio Sorgi, dirigente Regione Abruzzo; Giuseppe Gatto, Giulio Honorati, Tino Chiappino, Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, quest'ultimi due funzionari della Prefettura.

Asfissia, ostruzione vie respiratorie e compressioni del torace, violenti traumi contusivi e da schiacciamento a seguito del crollo della struttura, crash syndrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfittico, emorragie subracnoidea traumatica, asfissie da valanga e in presenza di basse temperature: queste sono le cause dei decessi, come si evidenzia nell'informazione di garanzia notificata.

L'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, e gli altri due funzionari Ida De Cesaris e Leonardo Bianco, sono indagati perché "premesso che la Prefettura - è scritto negli atti della magistratura - assumeva la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, assicurando i primi soccorsi, con il concorso degli altri enti e istituzioni del sistema di protezione civile" data l'emergenza neve;  nonostante il Consiglio dei ministri, a cui il prefetto in data 17 gennaio si era rivolto, avesse garantito la presenza operativa della Prefettura, e del Comitato operativo per la viabilità, nel monitoraggio delle strade provinciali, nonostante ciò il prefetto "soltanto all'esito della riunione in Prefettura del comitato dell'ordine pubblico alla ore 10 del 18 gennaio, invitava gli operatori della Prefettura a scendere nella sala della Protezione civile determinando non prima delle ore 12 la reale operatività del Centro Coordinamento Soccorsi in forza della effettiva apertura della sala operativa della Sala Provinciale prima non funzionante". Nell'ordinanza quindi si legge che "il prefetto attivava tardivamente il Centro soccorsi e così ometteva di svolgere tempestivamente il ruolo assegnato dalla legge, di coordinamento nella individuazione delle deficienze operative, compresa l'inefficienza della turbina sgombra neve e di farvi fronte disponendo per la sua sostituzione, ovvero disporre il divieto di percorrenza e conseguente evacuazione tempestiva del suddetto hotel. Attivandosi il prefetto, ormai troppo tardi, solo alle ore 18.28 del 18 gennaio, nel chiedere l'intervento di personale e attrezzature dell'Esercito italiano per lo sgombero della neve nei paesi montani della provincia di Pescara e nel far richiedere, tramite mail, 3 turbine spazzaneve alla sala operativa della Regione Abruzzo". La valanga che ha travolto l'hotel Rigopiano è arrivata poco prima delle 17, ma questi ritardi e omissioni, secondo il capo di imputazione, "determinavano le condizioni per cui la strada provinciale dell'hotel Rigopiano, al bivio Mirri, fosse impercorribile per ingombro neve, di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti in detto albergo di allontanarsi dallo stesso, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto" in atto a ripetizione.

Ma, in questa vicenda, della Prefettura si ricorda anche l'ormai celeberrima telefonata tra una funzionaria della Sala operativa e chi, per primo, lo chef Quintino Marcella, aveva ricevuto l'allarme dell'avvenuto disastro a Rigopiano da un suo amico che era ospite dell'albergo. "Senta - rispose la funzionaria che non credette a quell'allarme - questa storia gira da stamattina. I vigili del fuoco hanno fatto le verifiche. E' crollata una stalla". E alle insistenze di Marcella tagliava corto: "La mamma degli imbecilli è sempre incinta". E così lo liquidò,  facendo comunque partire i soccorsi in notevole ritardo.

Nell'ordinanza sono state portate alla luce anche le vicende urbanistiche dell'hotel e per questo sono sott'inchiesta anche dei due sindaci che hanno preceduto Ilario Lacchetta, ossia Massimiliano Giancaterino, fratello di una delle vittime, e Antonio De Vico, e che insieme ai dirigenti comunali e al geologo Luciano Sbaraglia hanno permesso la costruzione della struttura. Essi sono nei guai perché, nonostante le molte relazioni storiche su valanghe nella zona, non hanno mai preso in esame l'opportunità di "adottare un nuovo Piano regolatore generale, che laddove emanato avrebbe di necessità individuato a Rigopiano un sito esposto a forte pericolo di valanghe sia per ragioni morfologiche che storiche". In questo caso il Comune non avrebbe potuto rilasciare i permessi per la ristrutturazione dell'hotel, "permessi che in presenza di un corretto Prg e di parimenti corretto Piano Emergenza comunale non sarebbe stato possibile rilasciare con conseguente impossibilità edificatoria".

L'attuale sindaco di Farindola, Lacchetta, avrebbe dovuto sapere  dell'emergenza maltempo e dell'imminente arrivo della bufera che in quei giorni mise in ginocchio l'Abruzzo, considerato il bollettino inoltrato dalla Protezione civile regionale il 17 gennaio direttamente sul suo numero di cellulare e su quello di altri due dipendenti comunali. Vennero loro girati i bollettini del servizio Meteomont con livello di rischio passato da due a quattro su una scala di cinque. "Al fine di garantire la salvaguardia della popolazione e la riduzione di possibili disagi, si raccomanda alle amministrazioni comunali di contattare preventivamente le eventuali ditte convenzionate per lo sgombero neve, di verificare la disponibilità e l’efficienza dei mezzi e di mettere in atto ogni altra misura necessaria e prevista nei piani di emergenza e piani neve". Il sindaco si è giustificato, nei mesi scorsi, affermando di non aver ricevuto bollettini via fax o pec perché il municipio era isolato a causa di problemi sulla linea elettrica ma l’avviso, appunto, era giunto sul suo telefono via sms. Secondo la Procura, davanti all’eccezionale precipitazione nevosa in arrivo, Lacchetta avrebbe dovuto emettere un’ordinanza di sgombero dell’hotel prima  del giorno del disastro. Ma non fu così.

La Provincia, che ha competenza sull'arteria che conduceva al Rigopiano, avrebbe dovuto garantire la percorribilità della via. Ma non lo fece. Nel Piano neve stagionale, approvato poche settimane prima, quel tratto di strada venne indicato come "strategico" e, invece, la zona dell'albergo, nel momento di maggiore necessità, a causa delle abbondanti nevicate che si stavano abbattendo su tutto l'Abruzzo, venne trascurata. E la turbina della Provincia, destinata ad intervenire nell'area di Farindola fu lasciata, dormiente, in officina dal 6 gennaio perché “non si trovavano i pezzi di ricambio”.

I funzionari della Regione Abruzzo sono indagati perché "sebbene incombesse su di loro" la responsabilità di realizzare la Carta delle valanghe per l'intero Abruzzo "non si attivavano in alcun modo nemmeno predisponendo apposite, doverose, richieste di necessari fondi da stanziare nel bilancio regionale", per realizzare la Carta che se fosse esistita la località di Rigopiano sarebbe stata riconosciuta come "esposta a tale pericolo di valanghe". Questa assenza, si legge nell'ordinanza della Procura, ha fatto sì "che le opere già realizzate dell'hotel in seguito ai permessi di costruzione del Comune di Farindola non siano state segnalate dal sindaco alla Regione". Se così fosse stato il Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e valanghe avrebbe deciso "l'immediata sospensione di ogni utilizzo in stagione invernale dell'albergo, fino alla realizzazione di interventi di difesa antivalanghiva della struttura, dighe di deviazione, reti, deflettori da vento, ombrelli da neve". Le indagini sono state condotte dai carabinieri forestali.

23 novembre 2017

Redazione Pescara

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