Ha sopraffatto la moglie per 11 anni con ogni tipo di angherie, picchiandola, pure quando era incinta, obbligandola a pratiche religiose non gradite da lei e facendo rimanere la famiglia senza mangiare. Gli aspetti della sua cultura islamica avrebbero avuto il sopravvento piuttosto che rispettare le norme giuridiche italiane, visto che vive stabilmente in Val di Sangro (Ch).
Ora è scattata la condanna per maltrattamenti nei confronti di un uomo di 49 anni, difeso dall’avvocato Enzo Basile, che il gup Giovanni Nappi ha condannato, col rito abbreviato, a 26 mesi di reclusione, e a 18 mila euro di risarcimento danni nei confronti della moglie di 34 anni e delle sue due figliolette, minorenni, patrocinate quali parti civili dall’avvocato Simona Auriemma.
Un mese fa per l’uomo è giunta pure la sentenza di separazione con il tribunale che ha affidato alla donna, in via esclusiva, le bambine, senza prevedere alcun diritto di visita a favore del padre. Oltretutto, era pure accusato di aver tenuto una condotta contraria all’ordine e alla morale essendosi sottratto agli obblighi di responsabilità genitoriale facendo mancare a moglie e figlie i beni di prima necessità, incluso il cibo.
Quanto alla vicenda penale essa abbraccia un lunghissimo periodo di maltrattamenti, partito nel 2013 e concluso il 23 gennaio del 2024, quando la giovane mamma ha deciso di sporgere denuncia ai carabinieri di Atessa (Ch), stanca dei ripetuti e angoscianti soprusi. Rapida indagine dei militari e scatta il codice rosso da parte della Procura di Lanciano (Ch), mentre l’uomo era appena rientrato in Italia dal Marocco dopo un mese di assenza. Intercettato, per lui è scattato l’immediato divieto di tornare a casa a vivere con la famiglia.
Le accuse sono di avere reso l'esistenza impossibile alla moglie, determinandone uno stato di paura e soggezione. Secondo le imputazioni la percuoteva con schiaffi e pugni, la denigrava continuamente, obbligandola a pregare e a indossare il velo, proibendole di studiare e lavorare. Durante la gravidanza della prima figlia, l’ui l'avrebbe colpita con un pugno sulla pancia e sulla guancia, procurandole la fuoriuscita di sangue dalla bocca e un livido sul collo. In presenza della neonata, l’ha percossa di nuovo in modo violento tanto da farle perdere il respiro. La donna ha creduto di morire.
L’imputato ha sempre respinto gli addebiti, ritenendo le accuse mosse dalla moglie false. “L'uomo ha sempre rigettato ogni accusa – conferma l'avvocato Basile -. Questa condanna pone un problema: come può un uomo difendersi dalle accuse della ex moglie se, come in questo caso, si giunge ad una condanna anche in assenza di ogni riscontro rispetto a quanto genericamente fatto oggetto di denuncia. In attesa delle motivazioni mi riservo di ricorrere in appello”. Di tutt’altro avviso è la parte civile con l’avvocato Auriemma che commenta: “Ci troviamo di fronte a un caso assoluto di patriarcato. In zona vivono altre famiglie di religione musulmana e certamente non si comportano così". 27 giu. 2025
WALTER BERGHELLA
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