Coronavirus. Lanciano. 'Io contagiato a Londra e incappato in falle e lungaggini all'italiana'

"Ho atteso 12 giorni per avere il responso del tampone!" Che, purtroppo, è risultato pure positivo... E chissà quanto toccherà aspettare per i test successivi, quelli di fine positività! E' una testimonianza che racconta le inefficienze e le falle della sanità in tempo di coronavirus quella che abbiamo raccolto da W.S., 44 anni di Lanciano (Ch). Un tempo lungo e con la paura di essere stato contagiato e di aver eventualmente contagiato.

Eppure – racconta - “l'infermiera che aveva eseguito il test mi disse che le tempistiche erano al massimo di tre giorni per avere il risultato”. Macché…

Riavvolgiamo il nastro della storia. “A febbraio - spiega l'interessato - mi trasferisco a Londra per nuove opportunità lavorative. Verso la fine del mese, da così lontano, inizio a seguire la vicenda italiana, dal paziente 1 in poi". Con il primo ministro inglese Boris Johnson che, in tv, annuncia di voler attuare l’“immunità di gregge”, poi rimasta solo un'idea. W. S. inizia ad avere timori: “Aumentava la paura di contrarre questo subdolo virus perché a Londra non era stato ancora messo in atto alcun tipo di restrizione”.

In fretta e furia il giovane getta abiti ed effetti personali nelle valigie e tenta di rientrare in Italia. Facile no? Prendi un aereo e… No, invece. Fra "tra voli e treni annullati finalmente il 20 marzo riesco a partire. Arrivo all'aeroporto di Heathrow dove in molti punti risulta quasi impossibile mantenere la distanza di sicurezza. Tutto prenotato e inizia l'ansia della paura di essere contagiati. Intorno alle 22.30 arrivo a Fiumicino e dieci minuti atterra un altro aereo sempre proveniente da Londra. Sull'aereo riempiamo il famoso modulo in cui si dichiara il rientro in Italia. Alla consegna del documento all'aeroporto di Fiumicino mi rendo conto della prima delle tante disfunzioni nelle quali sono incapato”. Cioè? “Nessun controllo da parte dell'autorità riguardo a ciò che viene dichiarato e ancor più grave nessuna verifica dei documenti. Mi sarei potuto spacciare per qualsiasi altro". Ma il grave è lì ad un passo, racconta il giovane. Siamo già in piena pandemia, il premier Conte ha già emanato il primo decreto, c’è in tutta Italia la necessità del distanziamento sociale per arginare il virus ed invece… “nelle fasi d'uscita dall'aeroporto ci è stato sì detto di mantenere le distanze” tuttavia, nelle fasi concitate “spesso ci siamo ritrovati tutti ammassati... in centinaia!!!”

Il racconto prosegue: "Trascorro la notte in aeroporto, sono stati soppressi già tutti i collegamenti… finalmente la mattina riesco a prendere l'autobus che mi riporterà a Lanciano. E da quel momento, dal finestrino, mi accorgo di un altro mondo. Vedere il raccordo anulare e l'autostrada deserti… in tutto sette passeggeri dentro il pullman... un silenzio inquietante". Scene che rimarranno scolpite nella mente.

Senza alcuna indicazione in merito il giovane rientra in città. Non da sprovveduto però. “Mi metto in isolamento volontario pur non avendo a carico nessuna prescrizione. Avevo il terrore di essere fonte di un eventuale contagio!!!”

Non trascorrono neanche 48 ore che arriva il campanello d’allarme: "Il 22 marzo mentre preparavo il pranzo mi rendo conto di una cosa molto strana... non avverto il profumo di ciò che sto cucinando e in quel momento realizzo con agitazione e paura che qualcosa non va. In maniera quasi maniacale inizio ad aprire tutti i flaconi che ho a casa, detersivi, profumi, spray per ambienti. Ogni tentativo è un fallimento". Così "realizzo che i sensi del gusto e dell'olfatto sono totalmente spariti". E' nell’80% dei casi uno dei primi segnali dell'infezione in atto.

"E' il caso che tu faccia il tampone". Perentorio arriva l’invito del medico di famiglia. “Chiama il numero verde della Asl", mi dice.

E qui si apre un’altra falla. "Dopo diversi tentativi riesco a parlare con un'operatrice; le spiego cosa mi sta accadendo e mi viene risposto che in teoria non avrei diritto a farmi fare il tampone perché non posseggo i due requisiti necessari per attivare questa procedura: il primo è avere i sintomi del virus”. Cosa che il giovane ha (pur non avendo febbre e tosse). Il secondo è di "provenire da una delle zone rosse - Lombardia - o essere venuto a conoscenza di essere stato a stretto contatto con qualcuno al quale sia stato diagnosticato il Covid 19". E cosa accade? "Spiego all'operatrice che venendo da Londra, dove c'era libertà di movimento, era impossibile sapere se ero stato eventualmente contagiato. Alla fine dopo un serrato e insistente confronto di svariati minuti, decide di inserirmi nel sistema facendomi presento però che non é sicuro che mi verrà fatto il tampone". Trascorrono altri quattro giorni.

Altro “buco” nella procedura. "La mattina del 26 marzo il 118 mi comunica che devo recarmi a Chieti!" Perché? "A causa dell'enorme mole di lavoro dell'unità mobile", W. avrebbe dovuto fare circa 40 km in macchina con "la paura folle di essere in qualche modo fonte di contagio!" Comunque, alle 19 del 26 marzo, riesce finalmente a fare il test. L’unità mobile lo raggiunge a casa.

Passano i giorni e W.S. non ha notizie di alcun tipo nonostante le telefonate. Arriva la febbre, per tre giorni: “A 38.8°, un fortissimo mal di testa. Fortunatamente niente respiro affannoso”. Comunque "l'infermiera che aveva eseguito il test mi disse che le tempistiche erano al massimo di tre giorni per avere il risultato. Dopo una settimana chiamo ma nulla…". Solo l’8 aprile scorso, dopo ben 12 giorni di incertezze, timori e paure, angoscia e interrogativi, il giovane riceve il responso. Che è positivo.

Dove pensa di aver contratto il virus? "Probabilmente in Inghilterra. Nessuna prevenzione lì. Stavo in un ostello con 100-120 giovani”. Adesso? “Sto bene. Ma la paura è tanta. Vivi nel terrore che da un momento all'altro la situazione può precipitare;  in cuor tuo temi che le porte di una sala di terapia intensiva possano aprirsi anche per te; hai la fottuta paura di lasciare i tuoi affetti senza aver avuto la possibilità di salutare un amico, un'amica di abbracciarli; hai timore di lasciare tutto in sospeso". Dal 21 marzo, giorno dell’arrivo in città, lui non è mai uscito da casa. "Mando una mail al supermercato, faccio il bonifico e la Protezione civile mi porta sulla porta la spesa". Nessun contatto con l’esterno. Contatti invece con i moderni mezzi di comunicazione? "Tutti i giorni... E quotidianamente devo recitare al telefono con la mia famiglia, parenti e amici più cari dicendo che mi sento tranquillo. Non lo sono pienamente. Vi assicuro che non è facile convivere con questa brutta bestia". Sono trascorsi già 19 giorni dal prelievo del tampone. Adesso? "Sto aspettando che mi facciano i due tamponi dai quali dovrei risultare essere negativo. Avrei dovuto fare il 9 il primo..". Per ora nulla.

Alessandro Di Matteo

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