di Marco Tabellione



Riuscire ad utilizzare la forza espressiva del dialetto per giungere a rappresentare gli apici del pensiero e della spiritualità. E' quello che Massimo Pasqualone, docente e poeta di Francavilla al Mare (Ch), cerca di fare nella sua ultima raccolta di versi, tutti rigorosamente in vernacolo, anche se con traduzione a fronte. "St'amore" questo il titolo di una silloge, pubblicata in proprio, che si presenta come una piacevole novità nel panorama editoriale regionale. Ma ciò che è più importante è che la poesia di Pasqualone rispecchia totalmente quello che Mario Palmerio afferma nella prefazione, e cioè che ogni poesia deve innanzitutto costituire un arricchimento umano per il lettore, "un ampliamento ed arricchimento di esperienza umana" vale a dire "l'offerta di uno sguardo nuovo e diverso sul mondo". Quella di Pasqualone è un tipo di poesia che rispecchia questi valori. E' una poesia della profondità, capace di scavare nella realtà e scovare emozioni e dimensioni preziose, di grande spessore umano e artistico. Siamo di fronte dunque ad un artista che fa poesia assoluta con il dialetto. E si tratta di una poesia che tocca il cuore, grazie alla forza espressiva e immediata del vernacolo, ma che mira anche alla mente grazie ad un simbolismo profondo, pregnante. 


Certo la lingua dialettale è asprigna, a volte dura, fatta per l'oralità, la comunicazione più immediata, eppure il poeta francavillese riesce a plasmarla rendendola capace di contenuti anche filosofici e gnomici. Tra i miti che più caratterizzano la raccolta si pone sicuramente quello della terra, "terre amare terre de dulure" la chiama Pasqualone con particolare riferimento alla terra aquilana devastata dal terremoto del 6 aprile 2009. Sono miti della tradizione lirica ermetica che Pasqualone rivitalizza e adatta alla nuova veste linguistica costituita dal dialetto. Ma il poeta di Francavilla al Mare fa anche di più, perché il suo dialetto, più dell'italiano, riesce ad esprimere la forza dei sentimenti, come nell'immagine del "giorno più bello inchiodato nell'anima" che in dialetto suona: "Lu jurne cchjiù bbelle è quelle 'nchiuvate sopr'a l'anime". Perciò quella di Pasqualone è molto più che una poesia in dialetto, tra l'altro gustabile anche in italiano, grazie alla traduzione messa a latere di ogni lirica. E' una lirica che sa unire la saggezza popolare all'acume del poeta capace di guardare alle cose con occhi nuovi e diversi. E' quanto meno indicativo, poi, il fatto che l'autore abbia deciso di affidare a dei versi in italiano il compito di introdurre la sua raccolta, dando prova tra l'altro di grande virtuosismo linguistico. Scrive Pasqualone: "Sanno di fango, le mie parole, grandinano coincidenze, sanno di miele, di fiele, di Lele, sono un gorgo che risucchia, ammucchia, spilucca, trastulla, farfuglia, forse farfalla". Si tratta di una lirica molto importante perché consente di entrare nel cuore del fare poetico di Pasqualone, dove la lingua è innanzitutto musica e, in secondo luogo, sensazione e, infine, emozione. Il tutto a giustificare i tanti premi letterari vinti da Pasqualone, circa una trentina. 01 dic. '15 

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