Di Marco Tabellione


Parlare di poesia contemporanea è molto difficile, perché molto difficile è ricostruire i connotati identificativi chiari e precisi di un fenomeno culturale coevo, difficile da analizzare nella sua complessità senza la dovuta distanza. In fondo questo avviene per ogni forma artistica e culturale, ed è sempre avvenuto, perché nessuna epoca è riuscita a dire di sé qualcosa di univoco e omogeneo. E questo è un fenomeno più che congruo e logico, perché l’univoco e l’omogeneo, nella poesia, nelle forme d’arte e in ogni qualsivoglia manifestazione umana non esiste, è una invenzione a posteriori. Sono i critici, gli studiosi, gli storici, i sistematori e i codificatori successivi che, andando a studiare una particolare epoca da una particolare ottica, che può essere quella letteraria, filosofica, ma anche economica, scientifica e via dicendo, ne danno una lettura riduttiva, prendendo spunto da una sola, fra le tante manifestazioni a cui quell’epoca ha dato vita. Che poi quella manifestazione sia la più consona e identificativa, questo è un altro punto. Anzi accade spesso o sempre che il fenomeno letterario o culturale più di spicco di un’epoca, finisce per connotarla definitivamente, come se quell’epoca non fosse altro che una manifestazione o una conseguenza del particolare fenomeno culturale e non viceversa. Tuttavia per coloro che sono vissuti in un particolare periodo questa opera di identificazione risulta alquanto difficoltosa, e difficoltosa resta per i contemporanei che non sempre riescono a sbirciarsi tra i mille filoni di un’epoca spesso fra loro contraddittori e in opposizione. Se tutto ciò è vero è anche vero che bisogna compiere uno sforzo per comprendere in quale direzione più o meno univoca la cultura di un particolare periodo tende a dirigersi; quali sono i motivi che vanno per la maggiore, quale le idee veicolate. Quali le esigenze di poetica. Così, fatte le dovute premesse, possiamo andare a sceverare qual è o sembra essere la maniera contemporanea del fare poesia, quella che va per la maggiore. A me sembra che il connotato più comune alla poesia contemporanea sia ancora la riduzione del sacro, un motivo che è stato utilizzato, mi sembra dal critico Luciano Anceschi, per inquadrare lo sfondo per così dire filosofico dell’opera di Pascoli. Riduzione del sacro vuol dire in altre parole discesa dal sublime. E in effetti la poetica di Pascoli apparentemente così legata al quotidiano e al realistico, ebbe come obiettivo l’esaltazione delle umili cose della vita elevate a dignità poetica. Il sublime, l’alto contenuto dell’alta poesia romantica, veniva irrimediabilmente abbandonato o comunque accostato al comune e, potremo dire, volgare. Da qui, da questo punto di vista, la poesia contemporanea ne ha fatta di strada. 


Nonostante la ricerca di un poesia assoluta da parte degli ermetici, si è giunti, infatti, nel corso dei decenni, alle attuali predilezioni delle ultime generazioni di autori, i quali non hanno avuto pudori nel rendere protagonisti delle proprie poesie personaggi, eventi ed atti che mai poeti del passato si sarebbero sognati di far assurgere a dignità letteraria; ultime generazioni che sembrano aver rinunciato ormai alla rarefazione dei contenuti e alla selezione dei significati proprie di tanta poesia non per niente definita assoluta. Una poesia assoluta e monologica, perché caratterizzata da una tendenza linguistica a selezionare per i versi parole e immagini considerati degni del sublime poetico, contro il quale già Marinetti si scagliava insofferente. Il fatto è che questa discesa dal sublime costituisce un chiodo fisso della letteratura e della poesia da almeno 80 anni, se non di più. Viene da chiedersi dunque: è mai possibile che dopo tanti decenni dobbiamo continuare a vedere in questa pars destruens l’obiettivo principe del poetare moderno? Non è che, dopo decenni di distruzione e nichilismo, sia venuto il momento di tornare a costruire nuovi significati e, perché no, nuovi valori? Se quelli borghesi e cattolici del primo novecento erano giustamente da attaccare e rimettere in discussione, ciò non vuol dire che quest’azione nichilistica deve continuare ad oltranza. Perciò continuare in letteratura, poesia e arte in genere con la maniera nichilista e distruttiva vuol dire rimanere ancorati al passato, un passato da tempo superato, e distante da noi quanto distante è il Novecento. Il Novecento infatti ha avuto la sua stagione, stagione fondamentale, stagione che ha contribuito a svecchiare e rinnovare gli stili, i gusti, i contenuti. Ma l’ha fatto eliminando quelli antiquati, ancora fossilizzati sulle posizioni antiche, lo ha fatto cioè senza proporre di fatto alternative. Ora il tempo delle alternative è finalmente giunto. Ad esempio alla morale borghese, fatta di falsi perbenismi e di censure alle libertà sessuale, giustamente spazzata via anche scandalisticamente da tante prove delle avanguardie storiche, va oggi opposta una nuova morale, magari non codificata, anzi sicuramente non codificata, valori etici laici, interiorizzati, frutto del normale apporto interiore degli individui, in primis delle individualità artistiche. E questo perché in definitiva esprimersi con le arti, vuol dire innanzitutto operare delle piccole costruzioni di civiltà, vuol dire costruire, non distruggere, o meglio non solo distruggere. Questi riteniamo debbano essere i fondamenti di una poetica e di un progetto artistico che possano dirsi realmente attuali. Il resto delle pulsioni e delle esperienze artistiche e poetiche che dominano i nostri anni sono in realtà spinti da motivi esibizionistici, tentativi di apparire in una società che ha fatto dell’apparenza e dell’immagine il suo punto di riferimento primario. Si rabbrividisce al solo pensiero dei grandissimi autori che la nostra epoca ha trascurato, per andare dietro a mode, apparenze, gestualità provocatorie, scandali e altre esperienze superficiali. 


Nonostante la sua antichità restano ancora valide le obiezioni che Schopenhauer fece sul suo saggio Il mondo come volontà e rappresentazione. Il grande filosofo definendo la contemplazione giunge a considerarla come una forma di conoscenza scevra dalla ragione e dalle perturbazioni derivate dalla soggettività. L’arte autentica, in poche parole, sarebbe per il filosofo l’arte senza il carico di soggettività. “Il vero e proprio contrario del sublime” afferma in Il mondo come volontà e rappresentazione “è alcunché a tutta prima non riconoscibile come tale: l’eccitante”. E traccia una descrizione di tutto ciò che è eccitante, escludendo che si possa trattare di contenuti appartenenti alla sfera essenziale dell’arte. La sua sensazione è che l’arte contemporanea si sia smarrita sempre più in finalità superficiali, come il semplice eccitamento, perdendo di vista significati più profondi che le sono appartenuti da sempre. E questo anche a causa della vocazione individualistica di tanta arte e cultura contemporanea, ereditaria delle prime avanguardie. L’individualismo ha schiacciato l’individuo. Si può sintetizzare così il cammino della poesia e dell’arte dall’ultimo secolo ad oggi. Cioè la ricerca sfrenata dell’apparire, dell’esserci come successo personale, come immagine, dell’esserci dunque come maschera, ha finito per soffocare l’autenticità del mondo interiore e individuale. Così l’individualismo tipico della cultura borghese e tardo-borghese ha annientato la persona, e il peggio è che questo processo continua inesorabile, fagocitando ogni forma etica e di recupero spirituale, coinvolgendo non solo la poesia, non solo l’arte, ma l’intero corpus delle facoltà e delle discipline umane. 


Di fronte a questo scenario, quale dovrebbe essere lo sviluppo dell’arte in genere e in particolare della poesia contemporanea? Lasciamo aperta questa domanda, con la speranza che l’arte e la poesia autentica siano già al lavoro per rispondere ad essa con i fatti.

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