di Marco Tabellione

Una poesia di estremo realismo che cerca però di afferrare la realtà linguisticamente, potenziando il linguaggio e in maniera particolare il lessico. E’ la prima impressione che si ricava da 'Monologhi da specchio' (Robin edizioni), il nuovo funambolico libro di versi di Marcello Marciani, uno dei poeti più attivi e interessanti del panorama abruzzese e italiano. Un poeta che torna prepotentemente al linguaggio, alla cura delle parole, secondo un’idea che da qualche tempo la letteratura sembra aver perso di mira. E’ come se, con un linguaggio reinventato, Marciani volesse rispondere alla sfida della realtà, sempre più sfuggente e indefinibile, ampliata e complicata oltremodo dalla rete invischiante di internet, è come se volesse arginare, mediante il profluvio delle parole, quello che Calvino definiva come il mare dell’oggettività, quasi per diluirla a colpi di parole e di versi. 

Sicuramente il riferimento di Marciani e la sua verve parolaia è anche alla poesia d’avanguardia degli anni sessanta, soprattutto a Sanguineti, anche se il ritmo utilizzato dal poeta abruzzese segue accenti e percorsi diversi, forse più narrativi, rispetto al verso lungo di Sanguineti o degli altri poeti della cosiddetta scuola dei novissimi. Una poesia dunque che cerca altre intimità, altre anime a cui affidare la propria vocazione comunicativa, una poesia che però trova nel linguaggio un riscatto, la composizione delle fratture, la ricostituzione di un senso, proposto dalla poesia stessa ai personaggi ignari, ma non per salvarli, per salvare tutte queste figure, bensì per salvare se stessa, la poesia stessa, e con essa l’autore. 

Il linguaggio poetico viene dunque considerato in questo libro come riscatto da una realtà sempre meno sensata, sempre meno a misura d’uomo. Marciani in un certo senso esplora la possibilità di una poesia che sappia adeguarsi ad un'epoca sempre più priva di identità, e forse qui, in questa impostazione narrativa e dialogica, e soprattutto nell'adozione conseguente di voci altre, il poeta contemporaneo, e questa sembra la proposta di Marciani, trova uno dei rari modi di evitare la condanna all’emarginazione, che domina gran parte della poesia contemporanea. 

Scrive Donato Di Stasi nella prefazione: “Il groviglio indistricabile di Reale e Immaginario si riflette perfettamente nell’intricatezza del linguaggio, ai cui lembi viene applicato un movimento elastico che per il lettore può risultare un irrisolvibile lambiccamento, oppure un ludus intrigante, un labirinto di gerghi, di termini scientifici egemonici e volate lessicali inconsuete”. Il che conferma la grande tendenza allo sperimentalismo di Marciani, che tuttavia mira, come abbiamo visto, ad una spiccata finalità comunicativa. A conferma di ciò valgano queste due strofe dalla poesia “Lo scrivano”, non per niente messa all’inizio della raccolta: “Come controfigura allo sbando, spaccio di specchi replicanti filmati e prole di copisti la scrittura è questa lente deformante rotolata in un descenso di vocaboli che cascano sul ghiaccio perché la vita va oltre le parole le mie angustie stanno in bianche notti attente a captare fra fiato e pagina un senso”. Ecco captare un senso resta ancora il grande scopo della poesia, ma un senso che non valga solo per il poeta o per la poesia, un senso che possa essere condiviso, comunicato, messo in comunione.
26 febbraio 2018

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