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Serena Giannico

 

 

L’Aquila 18 gen. '13 - Riposero le loro conoscenze, per aderire in maniera “colpevole e acritica, alla volontà del capo del dipartimento della Protezione civile – all’epoca Guido Bertolaso - di fare un’operazione mediatica”. Da qui scaturirono “affermazioni assolutamente approssimative, generiche e inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione”. Per queste ragioni il giudice del tribunale dell’Aquila Marco Billi il 22 ottobre scorso ha condannato i componenti della commissione Grandi Rischi in relazione al terremoto che, nel 2009, ha distrutto il capoluogo d’Abruzzo e causato 309 morti. Le motivazioni del verdetto, tra i più discussi degli ultimi tempi a livello internazionale, sono state depositate nelle scorse ore: un documento di 940 pagine. La commissione di esperti, di massimi esperti, si riunì a L’Aquila una settimana prima del disastro, dopo che da mesi la terra tremava: migliaia di scosse erano state già registrate e la popolazione era impaurita e in allerta. Ma gli scienziati tranquillizzarono: “Non si verificherà alcuna catastrofe…”. Invece è stata tragedia. E, circa tre mesi fa, ai membri della commissione sono stati inflitti sei anni di carcere ciascuno. Colpevoli, di omicidio colposo e lesioni colpose. Colpevoli, di aver fornito rassicurazioni fasulle, Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della commissione Grandi rischi; Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione civile; Enzo Boschi, allora presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv); Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.a.s.e.; Claudio Eva, ordinario di Fisica all’Università di Genova; Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile. Loro, tutti, - affiora dalle motivazioni - “come emerso da intercettazioni telefoniche”, si adeguarono semplicemente ai desideri di Bertolaso, poi “entrato nel processo, come indagato, per reato connesso”. La “migliore indicazione” sull’operato della commissione Grandi Rischi, che minimizzò quanto si stava verificando, “si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l’assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: “Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa”. Le frasi di quella riunione sulla “prevedibilità dei terremoti, dei precursori sismici, dell’evoluzione dello sciame in corso, della normalità del fenomeno, dello scarico di energia indotto dallo sciame sismico quale situazione favorevole” hanno di per sé e hanno avuto una “indubbia valenza rassicurante”. Indussero “gli aquilani a restare a casa” mentre, con una condotta più prudente, “si sarebbero potute salvare alcune vite”. Per cui – spiega il giudice - non è stata sottoposta a processo ‘la scienza’ “per non essere riuscita a prevedere il terremoto. Il compito degli imputati, quali membri della commissione, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla ‘previsione e prevenzione del rischio’. E' pacifico – aggiunge - che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno é in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa”. Però sarebbe occorsa una “corretta analisi del rischio” e su di essa “andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione”. “La scossa delle ore 03.32 del 6 aprile 2009 – evidenzia - non è stato evento anormale, eccezionale, atipico né in termini assoluti, poiché ogni anno si verificano mediamente 120 terremoti di pari intensità; né in relazione alla storia sismica di L’Aquila, che registrava nel 1349, nel 1461, nel 1703 tre eventi con intensità pari o superiore; né in relazione al periodo medio di ritorno, quantificabile tra 325 e 475 anni; né in relazione alla classificazione sismica e alle caratteristiche sismogenetiche dell’aquilano…”. “Per questo da sempre – hanno sottolineato alcuni testimoni – noi eravamo abituati a scappare… Fino all’arrivo della Commissione, che ci ha detto che potevamo rimanere nelle nostre abitazioni”.

 

 

dal quotidiano 'Il Manifesto'

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