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Scarsa solidarietà, condizioni ambientali e tecnologie da migliorare, ritmi e tempi di lavoro insostenibili, retribuzione inadeguata, lavoratori che vengono controllati a vista e pedinati, anche da investigatori privati; “donne che lavorano di più e subiscono maggiori discriminazioni” e poi troppi, esagerati controlli, anche da parte di investigatori privati appositamente ingaggiati. “Una fabbrica che assomiglia sempre più ad un carcere”: sono queste, sostanzialmente, le conclusioni a cui giunge l'“inchiesta operaia” condotta, all'interno della Sevel di Atessa, per lo Slai Cobas Chieti, dai sociologi ricercatori dell'associazione “Il laboratorio”. Lo studio è stato presentato a Lanciano nell'affollata libreria “Mu”. Un'indagine, a cui hanno collaborato il collettivo Zona 22-Uallò Uallà, anche finalizzata a far emergere percezioni e rappresentazioni della condizione socio-lavorativa all'interno dello stabilimento del Ducato, veicolo oggi commercializzato in 80 Paesi del mondo. 

Su 500 questionari distribuiti, 316 (circa il 60%) gli operai che hanno risposto, per la maggior di sesso maschile (81%), residenti in 61 diversi comuni (molti pendolari, quindi) e che si collocano tra i 31 e i 50 anni. L'87% degli intervistati lavora da oltre 11 anni in Sevel; il 61% è impegnato nel settore del montaggio. L'88% si dichiara insoddisfatto della propria attuale condizione: il 75% per “l'intensità del lavoro”, ossia ritmi e carichi esasperanti; nel 32% dei casi per il “livello salariale” (la retribuzione è considerata bassa); a seguire “la nocività e la sicurezza”. “In genere – dice Giordano Spoltore, dello Slai Cobas – si evince una sofferenza correlata a ritmi, organizzazione, intensità e sfruttamento del lavoro”. Sott'accusa il metodo “Ergo-Uas” visto in maniera del tutto negativa e che, secondo il 48%, serve “ad ottimizzare i tempi e a trarre più profitto per l’azienda”. 

Ad “aggravare la condizione dei lavoratori, oltre alla percezione diffusa di essere fruttati – recita l'indagine – vi è anche quella di soffrire di una serie di problemi psicofisici che si sono manifestati (nel 66% dei casi) dopo l'ingresso in fabbrica”, come tendiniti, lombosciatalgie, formicolii, disturbi articolari e alla colonna vertebrale e dell'apparato digerente. Logoramento fisico ma anche e soprattutto “irritabilità, disturbi da ansia e da stress e depressione”, per cui si arriva a toccare punte del 79%. Per molti però Sevel ha rappresentato anche una svolta, una possibilità, nella propria vita lavorativa. Per tanti è quasi una “famiglia” che impone anche rinunce “al tempo libero, ai figli, al coniuge, ai propri hobby”.



06 novembre 2016

Foto Andrea Franco Colacioppo
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