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Vessati, costretti a subire soprusi pur di tenersi stretti qella misera paga. "Estorsione aggravata, sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita, con l'aggravante della continuazione". Sono i reati per i quali, a vario titolo, sono finiti nei guai nove imprenditori, di varie regioni, impegnati nella ricostruzione post terremoto dell'Aquila nell'ambito dell'operazione denominata 'Caronte'. Quattro sono ai domiciliari e cinque hanno subito la sospensione per sei mesi dell'attività. 

A finire nel mirino della Direzione distrettuale Antimafia di L'Aquila, che coordina l'inchiesta, e dei carabinieri, che conducono le indagini, due imprese operanti nella provincia di Caserta, una delle quali tuttavia ha, già da qualche tempo, trasferito la propria sede in provincia di L'Aquila. Per le due aziende è scattata la misura interdittiva, adottata dalla Prefettura di L'Aquila, alcuni mesi fa, in sede di accertamenti istruttori espletati per le iscrizioni nelle cosiddette 'white list' della ricostruzione post terremoto, in virtù dei collegamenti con personaggi legati alla criminalità organizzata dei clan casalesi. 

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i responsabili delle ditte, S.T., 38 anni, V.T. (41), R.T. (38), L.L. (37), tutti sottoposti agli arresti domiciliari, come si legge in un comunicato dei carabinieri, "sfruttando lo stato di necessità, indigenza ed estrema difficoltà economica in cui versavano gli operai, nei rispettivi comuni di residenza, avrebbero reclutato manodopera a basso costo (mantenuta in una condizione di sudditanza fisica e psicologica sotto minaccia di licenziamento), da impiegare nei lavori edili connessi alla ricostruzione post sisma 2009". Proprio per mantenere questo controllo sui lavoratori (che venivano subito allontanati in caso di proteste o rimostranze) al momento dell'assunzione, veniva fatta sottoscrivere una lettera di dimissioni priva di data che veniva trattenuta dai datori di lavoro. 

Stando ai riscontri dei pm David Mancini e Roberta D'Avolio, i dipendenti venivano obbligati a subire, accettando costanti violazioni della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale e alle ferie, nonché violazioni della normativa in materia di sicurezza, in particolare, alterando attestati relativi a corsi di formazione che i dipendenti avrebbero dovuto frequentare per le specifiche mansioni alle quali venivano adibiti. Non venivano inoltre corrisposti gli straordinari, gli assegni familiari ecc... 

Per aggirare la normativa sul tracciamento dei flussi di denaro, ai dipendenti era stato imposto di attivare carte di credito/debito prepagate, che rimanevano nella esclusiva disponibilità del datore di lavoro (unitamente ai relativi codici pin), il quale ritirava le somme presso uno sportello bancomat, decidendo poi di fatto quale esiguo importo versare realmente ai lavoratori.

Oltre alle quattro misure restrittive, sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di L’Aquila, Giuseppe Romano Gargarella, per il medesimo reato di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con l’aggravante della continuazione", anche 5 misure cautelari interdittive di "divieto temporaneo di esercitare attività professionali o imprenditoriali", per la durata di mesi 6, nei confronti di altrettanti imprenditori titolari di quattro ditte, due collocate nella provincia dell’Aquila (T.D., nato nel 1953; T.D., del '76 e M.A., del 1984), una in provincia di Chieti (D.G., classe 1966) ed una in provincia di Ascoli Piceno (D.G., del '62). 29 marzo 2017



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