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Emozioni alle stelle ieri pomeriggio a Pescara all’incontro organizzato da “Corrilabruzzo” e da “Runners Pescara”, dal tema “A TUTTI I COSTI il successo… sopra tutto”. Ha fatto gli onori di casa Mario De Benedictis,  presentando al pubblico Sandro Donati definendolo “il maestro dello sport e uno scienziato dello sport" – e rimarcando che “la lotta al doping sembra quasi una lotta contro i mulini a vento e Alessandro Donati è stato considerato un “Don Chisciotte” per la sua etica nello sport”. Poi Giorgio Calcaterra campione delle ultra distanze che ha vinto oltre a tre campionati del mondo, anche per ben 12 volte consecutive la 100 chilometri del “Passatore” e si appresta alla tredicesima partecipazione il prossimo 26 maggio. Assente giustificato, che ha affidato i suoi saluti ad un video proiettato in sala, Tommaso Marchese, avvocato esperto di tematiche antidoping. (nella foto da sinistra, Alessandro Donati, Mario De Benedictis, Giorgio Calcaterra)

 Il dibattito è entrato subito nel vivo quando alla domanda rivolta da De Benedictis a Calcaterra su cosa rappresentasse secondo lui il doping sportivo, quest’ultimo lo ha definito “Un furto. Credo che chi si dopa stia realmente rubando. Secondo me dovrebbe essere considerato non solo un reato sportivo. Chi si dopa non solo ruba i titoli sportivi, ma ruba la nostra fiducia. Purtroppo, questo stato di cose insinua dubbi su tante prestazioni sportive e non si è mai certi se le vittorie siano sempre pulite”. Nel Passare la parola a Donati, il moderatore lo ha invitato a commentare una sua affermazione durante un convegno passato nel quale Donati asseriva: “Punto centrale del doping risiede nella corruzione delle istituzioni che si autoassolvono e si difendono l’una con l’altra, descrivendo il doping come fenomeno strettamente individuale, e dove il singolo paga per tutti”. “Indubbiamente le persone sono attratte da quello che è vicino a loro, da quello che vedono, e fanno fatica ad immaginare quello che c’è dietro - ha risposto Donati. - Purtroppo io il doping l’ho scoperto dal di dentro, all’interno del Coni, perché ero un dipendente del Coni e un allenatore della squadra nazionale. Mi fu proposto di fare il doping agli atleti della squadra nazionale. Quindi, da quel momento la mia visione è stata diversa. Io nei confronti di un atleta dopato, mi pongo le seguenti domande: chi ha organizzato a che si dopasse? Chi lo copre? Chi ha creato il sistema di protezione cosicché possa continuare a doparsi? Ad esempio, ci sono categorie di atleti che godono di esenzioni terapeutiche per patologie che non hanno. Quella è una forma di doping istituzionale. Questi atleti si dopano con la protezione delle istituzioni. Credo sia più difficile per il pubblico comprendere il ruolo delle istituzioni corrotte. Purtroppo, queste sono alla base di tutto”.

 Successivamente De Benedictis ha solleticato Donati sulla differenza tra il “doping dei campioni, degli sponsor ultra milionari” e “il doping degli amatori”, affermando che quest’ultimo “fa grossi numeri per le case farmaceutiche.” Nel merito Donati ha risposto che: “Sono due fenomeni molto diversi nel senso che sono tutte e due da condannare, ma il professionista ha delle motivazioni e stimoli di carattere economico, oppure legate al successo che in qualche modo contribuiscono a determinare questa sua decisione sbagliata. L’atleta amatoriale non gode di nessun vantaggio economico, paga perfino per partecipare alle gare, non ha guadagni da portare avanti, non ha gratificazioni derivanti dalle prestazioni,  perché il risultato non ha nessun significato. Quindi, è evidente che di fronte al doping degli amatori noi dobbiamo porci altre domande: qual è la reale causa? Qual è il motivo? La risposta è una non accettazione di se stessi. E’ un’ambizione che va al di la delle proprie capacità e di voler apparire più bravi di quello che si è. In qualche modo il doping degli amatori è molto più grave del doping dei professionisti, anche perché si svolge tra colleghi, amici, che non hanno la stessa ossessione da risultato. Negli amatori un terzo fa uso abituale di farmaci, circa 3,3 farmaci a testa, in genere antinfiammatori e antidolorifici. E’ evidente che non sono dopanti, ma indicano l’ossessione di dover andare avanti ad ogni costo, quando ad esempio, davanti ad una infiammazione bisogna solo fermarsi e aspettare che passi. La salute è al primo posto. E’ molto più grave il doping amatoriale perché gli amatori sono spesso padri, madri, nonni, di giovani atleti e infondono loro una cultura sbagliata, avendo trasformato la pratica sportiva non come un piacere, ma in una ossessione”.

 

Calcaterra è stato invitato a ripercorrere la sua carriera di corridore, dagli inizi a quando è divenuto centochilometrista, fino ad oggi, e di ipotizzare un suo futuro sportivo. Risponde che non ha concepito la corsa con grosse differenze, da sempre corre con passione e non ha mai pensato di “fare il professionista”, anche se lo è poi diventato. Non pensa di smettere e non vede per forza un suo futuro come allenatore, posto che per svolgere questo ruolo a suo avviso non basta aver fatto l’atleta e aver vinto, ma bisogna fare corsi ed essere all’uopo preparati, non putendo improvvisare. De Benedictis ha elogiato proprio questo atteggiamento del divertimento da dover trasmettere alle giovani generazioni perché “i bambini ci guardano” e chi più di lui maestro di scuola elementare, oltre che noto sportivo e tecnico dello sport professionistico può testimoniarlo. All’uopo ha rivolto a Donati la domanda sui “talenti” e sul ruolo dei genitori nell’indirizzare i figli già dai sei anni a seguire una pratica sportiva. Donati ha esposto con la franchezza solita il suo parere, esprimendo con rammarico che nel tempo sono venute meno i giochi per strada e con loro le capacità coordinative dei giovani. Quindi è necessario, per far fronte a questa mancanza, che i ragazzini debbano giocare e muoversi molto di più, recuperare le basi, praticare molta più attività fisica, più attività sportive per anni, evitando da piccoli di focalizzarsi solo su una e successivamente scegliere la più confacente a se stessi. Purtroppo, gli adulti appassionati di uno sport scelgono per loro, creano loro attese, con la conseguenza che a 12-13 anni vi è un’importante percentuale di abbandono. Ha auspicato che lo Stato torni ad investire sull’attività fisica nelle scuole elementari con almeno tre ore a settimana, che il Coni fino ai 13 anni istituisca l’attività polisportiva, e non quella specialistica dello sport. Giorgio Calcaterra ha poi raccontato della sua infanzia sportiva caratterizzata da più sport, e la cui preferenza solo dopo sia confluita nella corsa.

L'incontro si è concluso con la domanda e la successiva risposta sulla nota vicenda del marciatore Alex Schwazer, che Donati ha ripercorso puntualizzando la certezza dell’assoluta purezza del marciatore e mettendo in evidenza chiari tentativi di discredito dell’atleta e del suo lavoro, dovuti alle importanti e titaniche battaglie che lo stesso ha condotto per uno sport pulito che lo hanno inimicato agli occhi di molti addetti ai lavori. 20 maggio 2018

 Stefano Suriani

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