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"Avevano fame i vecchietti... L'ordine era di cuocere mezzo chilo di pasta, e doveva bastare per 8-11 ospiti. A pranzo era così; a cena una manciata di pastina in acqua... E loro avevano fame... Mi dispiaceva; compravo brioche e merendine e gliele davo di nascosto, quando riuscivo... 'Questi porci - ripetevano tutt'e due - devono crepare...' ". E' un racconto d'angoscia e strazio, quello che fa, ai giudici della Corte d'Assise di Lanciano (Ch), Carmelina Monteferrante, 52 anni, di Monteodorisio, ex dipendente della casa per anziani "Arcobaleno" di Vasto (Ch) i cui titolari sono sotto processo. Imputati Lucio Ramundi, 58 anni, e la convivente Carmela Guglielmo, di 48, arrestati il 15 maggio dello scorso anno per maltrattamenti aggravati e sevizie nei confronti di alcuni anziani ricoverati nella loro struttura; per abbandono incapaci e per aver causato la morte del pensionato Luigi Molino.

"Sono stata assunta il 18 giugno 2015 - spiega la donna -. Per 700 euro al mese ero la factotum... Pulivo le stanze e assistevo gli anziani, tranne per la somministrazione di farmaci. Ho fatto di tutto per aiutarli, di tutto; di più non ho potuto". E scoppia a in un pianto disperato. Il processo si ferma per qualche minuto, per permetterle di calmarsi. "Ho fatto di tutto - evidenzia -. Ora non posso neppure più cercare lavoro, non mi vogliono, per quello che è accaduto lì dentro...". Ma lei è una vittima. Ed è lei che il 13 aprile 2016 ha fatto scattare l'inchiesta. Si è recata in caserma e ha denunciato soprusi, botte e maltrattamenti. 

"Succedeva che portavo cibo da casa mia in istituto - riferisce -, perché il frigorifero degli anziani era spesso vuoto. Mentre il loro (quello dei titolari, ndr) era pieno... preparavano cenette per loro, la figlia, gli amici... O andavano al ristorante. Ma gli anziani non venivano nutriti. Per ciò si deperivano, con i mesi. Quando facevo presente che la dispensa era vuota, mi rispondevano: 'Arrangiati da sola' ". Molti erano infermi. Qualcuno che era autosufficiente usciva e andava a comprarsi degli snack. "Li nascondevano negli armadi, ma lei (la titolare, ndr) li trovava e gettava tutto nella spazzatura...". Ai vecchietti veniva negata anche l'acqua. "Perché se bevevano dovevano andare in bagno di frequente. Oppure occorreva cambiargli il pannolone". Niente acqua, niente pipì e meno impicci: questo era il teorema. Per gli anziani era tormento. Erano parolacce. Era il posto degli orrori.

Chiara L. andava sempre in bagno... "Una mattina, - dice Monteferrante - alle 7, sono arrivata e l'ho trovata legata, con fasce e pettorina, alla sedia a rotelle. Ho chiesto perché. Mi è stato risposto: 'Non ancora schiatta chissi'...'. Un giorno l'ho trovata con un occhio pesto... E poi aveva piaghe da decubito, perché abbandonata a se stessa...". Ad un certo punto, in queste condizioni, la pensionata ha smesso di mangiare. "'Ma lasciatela perdere... Che importa se non vuole mangiare... 'Sti porci...', sempre questo ripetevano. 'Sti porci...', perché loro gli anziani li odiavano". 

Luigi Molino è ritenuto, dalla magistratura e dagli investigatori, vittima di questa situazione di degrado e di botte. Aveva il morbo di Parkinson e soffriva di demenza senile. "Luigi chiedeva le sigarette. 'Datemi le sigarette...'. Loro, per tutta risposta, lo riempivano di pugni in testa. Le sigarette dell'anziano se le fumava lei... Una volta Luigi ha spiegato al nipote, che veniva a trovarlo, di essere stato picchiato, e gli ha chiesto di riportarlo a casa. Il nipote non gli ha creduto...". "Ma i parenti? Possibile che non si siano accorti di nulla?, domanda il giudice. "Loro erano bravi a inventare, a trovare scuse, a imbambolare i familiari...". Le vite di questi anziani in un inferno. "Io non posso fare più niente, sto andando via. Ma tu cerca di aiutare gli altri che stanno qui...": questo è stato l'ultimo desiderio di Molino, prima di morire. L'uomo è deceduto in ospedale, in condizioni drammatiche. "Gli ho dato retta: sono andata subito dai carabinieri... Mi impedivano pure di andare ai funerali di questi anziani. Non facevano altro che urlare, sempre... Avrei voluto licenziarmi, scappare, ma avevo bisogno di quei soldi...". 

Pietro N. si svegliava spesso per andare ad urinare. E poi detestava il pannolone e tentava di toglierselo. "Per non avere più fastidi, lo hanno legato al letto, con lo scotch". 
Luisa Z. soffriva di Alzheimer. La picchiavano e lei gridava. "Mi faceva pena. Quando si lamentava, andavano e la malmenavano. Aveva lividi... sulla bocca, ad un occhio... ma loro dicevano che aveva sbattuto contro le sbarre del letto... La riempivano poi di sonniferi. Lei si opponeva, ma che poteva fare... Le infilavano in bocca, a forza, il cucchiaino con le gocce di calmante...". 

Gli anziani non avevano il diritto di stare al caldo. "Mi proibivano di mettergli sopra le coperte. Io lo facevo di nascosto: quando uscivano li coprivo. Quando rientravano ero costretta a rimettere i plaid negli armadi". E non avevano il diritto di lavarsi. Le condizioni igieniche lasciavano a desiderare. "In quella struttura non c'erano i bidet - spiega ancora la teste chiave del processo -. I poverini si lavavano con una spugna inumidita, seduti sul water dove facevano la cacca. Non c'era lo shampoo, non c'erano saponi adeguati. Io portavo tutto da casa, anche il rpofumo...". Vigeva il divieto di farsi la doccia. "Solo quando lo diceva lei, si potevano permettere di sciacquarsi e rinfrescarsi... Lei era come un cane rabbioso...". L'ospizio lager è stato chiuso, su disposizione dell'autorità giudiziaria. 14 luglio 2017

Serena Giannico

Nella foto in alto la Corte d'Assise a Lanciano; in basso gli imputati al momento dell'arresto. 

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