Finora ne sono stati ritrovati poche centinaia di esemplari, tutti in una ristretta area presso il Monte Tricella, circa un chilometro fuori dai confini del Parco. "Le più vicine località note di questa specie si trovano in Val d'Aosta e nei Balcani, entrambe a circa 600 km di distanza", osserva Goffredo Filibeck, docente di botanica all'Università della Tuscia. "Diciottomila anni fa, al culmine dell'ultima glaciazione, la vegetazione della penisola italiana era dominata da una steppa come quella che oggi vediamo in Asia centrale. Forse il clima continentale del Fucino, con la pastorizia praticata fin da epoca preistorica, ha mantenuto fino ai nostri giorni una piccola 'isola di flora della steppa': una macchina del tempo che ci rimanda a quando qui c'erano i mammut".
"Il ritrovamento conferma l'importanza, per la biodiversità e per le connessioni ecologiche, del territorio della Valle del Giovenco e dei suoi monti, a torto ritenuti minori" commenta Cinzia Sulli, responsabile del Servizio Scientifico del Parco. I ricercatori sono preoccupati per la scarsa importanza che le politiche ambientali attribuiscono a prati e pascoli: "Le leggi italiane tutelano rigorosamente qualunque tipo di bosco, anche quando ha scarso valore ecologico, con vincoli come l'inedificabilità assoluta: invece, per le praterie spontanee, che sono un enorme scrigno di biodiversità, non esiste quasi nessuna tutela urbanistica e vengono anzi considerate 'terre marginali' da riconvertire", conclude Filibeck. 05 luglio 2017