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L'Aquila - Lo Stato, e in particolare la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiede la restituzione dei risarcimenti, delle provvisionali elargite alle famiglie delle vittime per il terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009 dopo la sentenza di primo grado del processo alla commissione Grandi Rischi. Su questo, il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni. Di seguito la missiva.

"Gentilissimo Signor Presidente,
è pervenuta due giorni fa ai familiari delle vittime del sisma la richiesta di restituzione del risarcimento che era stato disposto dal Tribunale di I grado.
Cinquantacinque persone, madri, padri, fratelli, figli delle vittime del sisma che, la notte del 6 aprile 2009, ha distrutto L’Aquila, sono stati citati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata dal Procuratore dello Stato, Gianluigi Diodato, per la restituzione delle somme ricevute a titolo di risarcimento, in tutto sette milioni ottocentomila euro, per 29 delle 309 vittime.
I fatti sono noti.
A seguito del processo alla Commissione Grandi Rischi, accusata di aver rassicurato molti aquilani, che quella notte, nonostante le scosse, decisero di restare nelle proprie case, trovandovi la morte, i tecnici e lo Stato erano stati condannati, in primo grado, a risarcire le vittime.
Il processo è iniziato il 10 dicembre 2010.
La sentenza di primo grado, del Giudice Marco Billi, pronunciata il 22 ottobre 2012 e depositata il 18 gennaio 2013, riconobbe il nesso di casualità tra le rassicurazioni fornite dagli esperti e quelle morti, condannando i sette imputati (Franco Barberi, Bernardo De Bernardinis, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Mauro Dolce) a sei anni di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, e a risarcire le parti civili per quasi otto milioni di euro, in relazione al decesso di 29 persone e al ferimento di quattro.
Gli imputati furono condannati anche al pagamento di una provvisionale, un anticipo del risarcimento civile dei danni subiti.
Essendo immediatamente esecutivi, i risarcimenti furono liquidati con immediatezza.
Si trattava di somme che andavano dai duecentomila ai quattrocentomila euro a testa, in base ad un calcolo effettuato in considerazione di fattori quali l’età della vittima o la professione e il grado di parentela con la parte civile.
Già in data 12 febbraio 2013, dunque, vennero erogate le somme a titolo di risarcimento.
Il 6 febbraio 2015, tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado, assolvendo tutti gli imputati, ad eccezione di uno, Bernardo De Bernardinis, riducendone però la pena a due anni di reclusione, con il beneficio della sospensione e della non menzione ed eliminando le pene accessorie dell’interdizione, in relazione al decesso di 13 persone, e assolvendolo per altri 16 decessi e 4 ferimenti. In pratica non si riconosceva più il nesso tra quelle rassicurazioni e le morti.
Il 24 marzo 2016 la Cassazione ha confermato la sentenza e il 30 giugno la Presidenza del Consiglio ha messo in mora i parenti delle vittime, diffidandoli a restituire quanto incassato a titolo risarcitorio a seguito della condanna di primo grado. Il 5 settembre le parti civili, tramite i propri avvocati, hanno presentato ricorso, dichiarando di trattenere le somme “a titolo di acconto sulla maggiore somma ancora dovuta” e invitando “la presidenza del Consiglio dei Ministri a voler provvedere all’integrale risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti dai nostri assistiti”.
Nonostante tutto le parti civili sono state citate in giudizio, con udienza già fissata per il prossimo 24 luglio.
Lo Stato chiede di “accertare, riconoscere e dichiarare quelle somme prive di giustificazione causale”.
Gli avvocati dei familiari delle vittime, tuttavia, hanno dichiarato che “la sentenza di secondo grado non fa alcun riferimento alle provvisionali, immediatamente esecutive, disposte dal Giudice Marco Billi.La Corte, in altre parole, non ha annullato le provvisionali”.
Gli avvocati hanno anche rilevato che “in sede civile una sentenza di assoluzione emessa per insufficienza di prove non ha alcuna efficacia”.
Alla luce della tragicità degli accadimenti dell’aprile 2009, della tragicità e complessità della vicenda giudiziaria nota come “Processo Grandi Rischi”, per il rispetto che si deve portare alle stesse vittime, ai loro familiari ed all’intera comunità aquilana, Le chiedo di individuare con la sensibilità che la contraddistingue la giusta soluzione, che preveda il ritiro della richiesta di restituzione del risarcimento.

RingranziandoLa sin da ora per l’attenzione, l’occasione è gradita per inviarLe i miei più

Distinti saluti".

8 maggio 2017


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