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Tre miliardi di euro di fatturato, 4.700 cave attive e 14mila abbandonate. Sono questi i numeri del Rapporto Cave 2017 di Legambiente. Canoni di concessione irrisori e in Valle D’Aosta, Basilicata, Sardegna si estrae gratis. Boom di export nei materiali lapidei, ma sempre meno lavoro in Italia. 

"La sfida dell’economia circolare - si legge nel dossier di Legambiente - riguarda anche il mondo delle attività estrattive, perché è possibile ridurre il prelievo di materiale e l’impatto sul paesaggio, dare una nuova vita ad una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo dei materiali. A dimostrarlo sono tanti paesi europei che hanno deciso di puntare sul riciclo degli inerti, ma anche diversi esempi italiani anche se la strada è ancora lunga e in salita. Nella Penisola si continua a scavare troppo e con impatti devastanti sull’ambiente (dalle Alpi Apuane alle colline di Brescia, da Trapani a Trani). La crisi del settore edilizio degli ultimi anni - prosegue Legambiente - ha fatto registrare una riduzione del numero di cave attive (-20,6% rispetto al 2010), ma sono ben 4.752 quelle funzionanti e 13.414 quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio. Se a queste aggiungessimo anche quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio (Friuli Venezia Giulia, Lazio e Calabria), il dato potrebbe salire ad oltre 14mila cave dismesse. Sono poi 53 milioni di metri cubi la sabbia e la ghiaia estratti ogni anno, materiali fondamentali nelle costruzioni, 22,1 milioni di metri cubi i quantitativi di calcare e oltre 5,8 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti. In nove Regioni italiane non sono in vigore piani cava e le regole risultano quasi ovunque inadeguate a garantire tutela e recupero delle aree. Rilevanti sono, invece, i guadagni per i cavatori: 3 miliardi di euro l’anno il ricavato dalla vendita di inerti e pietre ornamentali a fronte di canoni di concessione irrisori (2,3% di media per gli inerti e regioni in cui è gratis). Crescita record per il prelievo e le vendita di materiali lapidei di pregio, con esportazioni in crescita (2 miliardi di euro nel 2015), ma si riduce il lavoro in Italia nel settore".

Riguardo il materiale, dal rapporto emerge che la Lombardia è la prima regione per quantità cavata di sabbia e ghiaia, con 19,5 milioni di metri cubi estratti. Seguono Puglia (con oltre 7 milioni di metri cubi), Piemonte (4,8 milioni), Veneto (4,1) ed Emilia-Romagna con 4 milioni circa. Per quanto riguarda le pietre ornamentali, le maggiori aree di prelievo sono: Sicilia, provincia autonomia di Trento, Lazio e Toscana che insieme costituiscono il 53,4% del totale nazionale estratto. Le Regioni che invece cavano più calcare sono Molise, Lazio, Campania, Umbria, Toscana e Lombardia che superano singolarmente quota 1,5 milioni di metri cubi.

 Nel dossier l’associazione ambientalista sottolinea anche un grave problema: la mancanza di piani cava in Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Bolzano, Basilicata e Piemonte (dove sono previsti Piani provinciali), mentre nella maggior parte delle regioni sono inadeguati i vincoli di tutela e mancano obblighi di recupero contestuale delle aree. Per Legambiente l’assenza dei piani è particolarmente preoccupante, perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione in regioni dove è forte il controllo da parte della criminalità organizzata.

Prelevare e vendere materie prime del territorio è infine un’attività altamente redditizia a fronte di canoni di concessione pagati da chi cava a dir poco scandalosi. In media nelle Regioni italiane si paga il 2,3% del prezzo di vendita di sabbia e ghiaia (27,4 milioni a fronte di 1.051 milioni di volume d’affari). Ancora maggiori i guadagni per i materiali lapidei dove è in forte crescita il prelievo e l’esportazione di materiali.  In diverse regioni addirittura si cava gratis: succede in Valle d’Aosta, Basilicata, Sardegna, ma anche Lazio e Puglia dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare inerti. Legambiente ricorda che l’ultimo intervento normativo dello Stato nel settore è il regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, ma è evidente che senza un controllo dell’operato delle Regioni la situazione è insostenibile sia in termini di tutela del territorio, che di controllo della legalità e di riduzione del prelievo da cava. Per altro le Direttive europee prevedono che entro il 2020 il recupero dei materiali inerti dovrà raggiungere quota 70%.

 "Per Legambiente le tre scelte per rilanciare il settore sono: rafforzare tutela del territorio e legalità attraverso una Legge quadro nazionale che stabilisca le aree in cui l’attività di cava è vietata e obblighi il recupero contestuale delle aree e la valutazione di impatto ambientale, ecc.); stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio. Se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito (20% del valore di mercato) si recupererebbero 545 milioni di euro all’annodi incassi per le Regioni. Dal primo rapporto di Legambiente, del 2009 si può stimare che siano state sottratti canoni per oltre 3,5 miliardi di euro.

Intanto l'Abruzzo continua a scavare: sono infatti 265 le cave attive e 640 quelle abbandonate. Secondo Legambiente "la Regione è ancora inadempiente sul piano cave che, nonostante l'annuncio di alcuni mesi fa, è al palo". L'associazione inoltre dice no alla realizzazione della cava di Monte Castiglione a Popoli, sì all'economia circolare. Dal rapporto emerge che la quantità estratta in regione di sabbia e ghiaia è di 1.605.550 metri cubi con entrate annue per le casse pubbliche pari a 2.087.215 di euro, solo il 6,5% del volume d'affari annuo complessivo da attività estrattive con prezzi di vendita di 32.111.000 di euro. Già con l'adeguamento ai canoni europei, la cifra sarebbe molto più alta: 5.137.760 di euro. 

28 feb.'17

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