Palermo 22 mag. '13 - Un patrimonio del valore di 48 milioni è stato sequestrato dalla Guardia di finanza di Palermo agli eredi del creatore di un gruppo imprenditoriale che ha curato tra gli anni '80 e '90, la metanizzazione in diverse aree della Sicilia e di altre regioni italiane, facendo affari con la mafia attraverso appalti e subappalti a imprese controllate dai boss. Dalle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dal sostituto Dario Scaletta, sono emerse infiltrazioni di Cosa nostra e di suoi capi storici, tra cui Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro, negli affari delle società che dopo la morte del fondatore furono cedute nel 2004 dai suoi familiari per 115 milioni di euro, poi reinvestiti in diverse attività economiche tra la Sicilia e la Sardegna. L'imprenditore, secondo gli inquirenti anche con l'appoggio politico dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, aveva ottenuto 72 concessioni per la metanizzazione in altrettanti centri non solo della Sicilia, ma anche dell'Abruzzo.Le indagini si sono concentrate sulla genesi del gruppo, costituito negli anni '80 da un dipendente pubblico divenuto imprenditore investendo ingenti risorse finanziarie di dubbia provenienza e comunque non giustificate dalle sue disponibilità. Il suo gruppo si era rapidamente espanso, secondo l'accusa grazie alla protezione dei mafiosi e alla mediazione di Vito Ciancimino, fino ad ottenere ben 72 concessioni per la metanizzazione di comuni della Sicilia e dell'Abruzzo. Quei lavori sono stati in più occasioni affidati in sub appalto ad imprese direttamente riconducibili a persone con precedenti specifici per mafia o comunque vicine alla criminalità organizzata. In tal senso, gli investigatori hanno sottoposto a riscontri le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, come Giovanni Brusca, Vincenzo Ferro, Antonino Giuffrè, ma anche il contenuto di alcuni 'pizzini' sequestrati nel tempo a capimafia, esaminando decine di contratti di appalto e sub appalto per risalire agli interessi mafiosi occulti. E' stata poi ricostruita la storia economico finanziaria delle diverse società del gruppo in parallelo a quella della ricchezza accumulata nel tempo dalla famiglia del fondatore, subentrata nelle gestione delle diverse società dopo la sua morte, avvenuta nel 2000. L'attività investigativa ha quindi tracciato le operazioni di cessione dell'intero pacchetto azionario e del patrimonio delle società, operazione perfezionata nel 2004, per un corrispettivo di circa 115 milioni di euro. Un capitale che, sempre grazie all'appoggio di Cosa Nostra, è stato reinvestito nella costituzione di nuove società, in attività commerciali e nell'acquisto di beni immobili a Palermo e nella provincia di Sassari. 
 Il sequestro, disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, ha colpito beni dislocati tra Sicilia e Sardegna e comprendenti società immobiliari e di produzione di metalli preziosi, imprese agricole, attività commerciali, oggetti d'arte, appartamenti, uffici, locali affittati come negozi e magazzini ad importanti aziende, molti dei quali nel centro di Palermo, immobili di pregio, opifici industriali, autorimesse e disponibilità bancarie.

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