Alla filosofica domanda “quanto vale una vita?”, il Senato ha risposto "5.000 euro". Perché se il Decreto terremoto, dello scorso 28 giugno, si dovesse trasformare in realtà, con sua definitiva approvazione alla Camera prevista tra il 17 e 18 luglio, sancirà che per le vittime dei sismi lo Stato corrisponderà 5.000 euro di indennizzo ai familiari.
Tale provvedimento, promosso dal governo Gentiloni, ha trovato il suo primo via libera solo con l’insediamento del nuovo governo, ricevendo dall’aula di palazzo Madama 204 voti favorevoli, 56 astenuti ed un solo voto contrario. L’indennizzo per la perdita della vita nei terremoti, tuttavia, si infila tra le pieghe di un atto in realtà molto atteso dalle regioni del Centro Italia colpite dalle calamità, in quanto risponde alle esigenze delle popolazioni disastrate, che sin da subito hanno chiesto di ottenere proroghe e sospensioni di svariati adempimenti tributari. Tra le varie agevolazioni, ad esempio, il canone Rai viene sospeso fino al 31 dicembre 2020, mentre solo a partire da gennaio 2019 riprenderà il pagamento dei premi di assicurazione e dei contributi previdenziali e assistenziali a carico dei datori di lavoro.
Eppure, se il decreto appare minuzioso nel regolamentare tutti quelli che sono gli aspetti riguardanti i versamenti contributivi e la ricostruzione, sembra liquidare in maniera ridicola l’argomento della tutela dei familiari delle vittime dei terremoti del 2016, del 2012 e del 2009: è previsto un indennizzo di 5mila euro, che salgono a 40mila se la vittima era un minore.
Tra i parenti delle vittime, il computo del “prezzo della vita” fatto dallo Stato crea una rabbia profonda e Maria Grazia Piccinini, madre di Ilaria Rambaldi, studentessa morta nel terremoto dell’Aquila, ha così commentato: "Evidentemente per lo Stato, vale più una mucca, che costa anche diecimila euro, che una vita".

Le misure erano state sollecitate a più riprese dai presidenti delle 4 regioni interessate, dai sindaci dei Comuni inseriti nel cratere e dal commissario alla ricostruzione Paola De Micheli. Col decreto, inoltre, è stata decisa la proroga della struttura commissariale fino al 2021, dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2018 (con uno stanziamento di 300 milioni) e dell'inserimento nel cratere di cinque nuovi comuni, tutti in Abruzzo: Catignano, Civitella Casanova e Penne in provincia di Pescara, Penna Sant'Andrea e Basciano in provincia di Teramo. Ma il provvedimento contiene anche una serie di norme riguardanti tasse e contributi: la proroga della scadenza della cosiddetta 'busta paga pesante', la proroga e sospensione dei termini per gli adempimenti ed i versamenti tributari e contributivi e il posticipo del rimborso da parte di lavoratori dipendenti e pensionati al gennaio 2019; mentre è prorogato al 31 dicembre di quest'anno il termine per la presentazione delle domande per la ricostruzione privata. Il provvedimento contiene poi altre due norme che erano attese dai territori: la regolarizzazione delle strutture provvisorie realizzate sui terreni di proprietà - la cosiddetta norma di 'nonna Peppina' - e la procedura di sanatoria delle "lievi difformità edilizie", in sostanza i piccoli abusi - in una percentuale consentita del 5% - realizzati prima del 24 agosto 2016: i proprietari degli immobili possono presentare, contestualmente alla domanda di contributo, una segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria pagando una sanzione tra i 516 e i 5.164 euro.
04 luglio 2018

Alessandra Rambaldi

@RIPRODUZIONE VIETATA

Condividi l'Articolo

Articoli correlati