Avrebbe voluto eliminare... d'ufficio lo sperone roccioso che fa da contrafforte al borgo di Civitaluparella (Ch), in Val di Sangro. Tre milioni 764.500 metri cubi di montagna da cancellare. E, per poterlo fare, secondo quanto contestato dalla magistratura, s'è inventato che quella roccia “rappresentava un pericolo potenziale” e dunque andava rimossa. In realtà l'obiettivo – stando ai capi d'accusa – era di  procurare “ingiusti vantaggi economici e patrimoniali” ad un'impresa. Per ciò a carico dell'ex sindaco di Civitaluparella, Mariano Ficca, 59 anni, c'è una richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Lanciano. La faccenda, dopo un primo rinvio dei giorni scorsi, approderà davanti al gup del Tribunale di Lanciano, Marina Valente, il prossimo 9 ottobre. 

L'imputato deve rispondere di abuso d'ufficio, corredato da diverse violazioni di legge, come  quella dell'articolo 97 della Costituzione, “in relazione all'imparzialità dell'azione del pubblico funzionario, con divieto di favoritismo”. La vicenda penale è legata alla cava di inerti di località Ristretta di Civitaluparella, ampia circa un ettaro e riattivata nel 2004 con un progetto di ripristino ambientale mai portato e termine e per il quale pende un altro procedimento penale. Ficca, ora capogruppo consiliare d'opposizione, è accusato, in sostanza, di aver architettato e messo in pratica una serie di azioni finalizzate a far proseguire l'attività estrattiva alla srl Das, per almeno altri 15 anni. Nei guai, naturalmente, sono finiti anche i titolari della società, Emidio e Guido Alimonti, di Guardiagrele, “quali beneficiari, consapevoli delle illegittimità” compiute. 

Con delibera 81 del 28 novembre 2011, l'ex giunta comunale, capitanata da Ficca, stabilisce l’ampliamento della cava. Gli atti approdano in Regione e il Comitato Via (Valutazione impatto ambientale) il 21 febbraio 2013 decide che il piano proposto dal Comune è di dimensioni tali “da rendere necessario un approfondimento”. Un progetto faraonico, “altamente impattante”: materiale da prelevare oltre 3 milioni e mezzo di metri cubi, a cui vanno aggiunti i 2 milioni 273.692 metri cubi precedentemente autorizzati ed in ordine ai quali la cava è già sotto sequestro ed è in corso, dal 2012, un procedimento penale, a carico dei vertici della Das, per truffa ai danni del Comune  e per violazioni ambientali. Per ciò la Regione non autorizza ma sollecita ulteriori verifiche. 

E l'allora il sindaco, per aggirare gli ostacoli e sbloccare la situazione, il 4 aprile 2014 adotta un'ordinanza, con carattere d'urgenza e “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”: con essa dispone, in barba a tutti, “l'abbattimento/asportazione dello sperone roccioso situato nella porzione nord-est della cava”. E affida gli interventi – 3 milioni 700 mila metri cubi da sbancare - e la successiva bonifica dell'area - con rimozione del materiale, trasporto a valle, lavorazione e vendita - ai gestori della cava. L'ordinanza non viene inviata neppure al prefetto, come prevede il Testo unico degli enti locali. E, soprattutto, accerta la Procura, non è mai esistito alcun rischio per la collettività. Il tutto – emerge da un lunghissimo capo d'imputazione – serve solo a consentire alla ditta di riprendere l’attività estrattiva, da un lato bloccata dal sequestro della magistratura,  dall’altro dal mancato rinnovo dell’autorizzazione regionale. Il Comune di Civitaluparella, ora guidato  dal sindaco Loredana Peschi, si è costituito parte civile.  26 aprile 2017


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