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“Ma questa non è un'azienda morta, decotta. E' fiorente, ha commesse e fa utili. Quindi deve solo vergognarsi”. Nicola Manzi, Uilm Chieti-Pescara, è imbestialito. “Non si può cancellare, così, senza ragione, una realtà che ha significato ricchezza e che è stata sempre considerata un'eccellenza mondiale”. Eppure Honeywell ha deciso di chiudere lo stabilimento di Atessa (Ch), dove vengono sfornati turbo diesel per diversi marchi automobilistici, e di buttar conseguentemente fuori 420 lavoratori, oltre a quelli dell'indotto, altri 60. Dell'altro ieri la drammatica comunicazione: dal prossimo 2 aprile, al termine della procedura di solidarietà, scatterà la mobilità. E, a meno di miracoli, la fabbrica abruzzese sarà smantellata. "Tutto questo - riprende Manzi - ci è stato comunicato in 6 minuti. Sei minuti ci sono voluti per decretare la condanna a morte dello stabilimento di Atessa, con 26 anni di attività. L'apoteosi dello scempio”. In un incontro in un hotel di Mozzagrogna, con frotte di poliziotti e carabinieri. Una riunione in un albergo, e blindatissima.

Le stesse produzioni, in questi mesi clonate, saranno realizzate a Presov, in Slovacchia, dove la multinazionale ha costruito uno stabilimento fotocopia. La Slovacchia, stando ai conteggi effettuati dai sindacati, avrebbe sborsato 20 milioni di euro per far arrivare, incentivandolo, il colosso franco-americano. “Ecco le motivazioni della delocalizzazione – tuona in un documento Rifondazione comunista -: andare ad arraffare soldi pubblici in un altro Stato, dopo aver ricevuto milioni di euro in Italia”. Quanti? Cifre enormi. E a fare i conti è proprio il Prc. Circa 4,6 miliardi di lire nel 1999 grazie ai benefici della Legge 64 del 1986; tre finanziamenti con la Legge 488, per un ammontare complessivo di circa 4,5 milioni di euro (prima 2.473.290.000 erogati con ultima rata nel 2001; poi un milione110mila euro e, dulcis in fundo, 1.928mila euro); 1,8 milioni di euro per credito d'imposta, sfruttando la Legge 388; qualcosa come un miliardo di euro di esenzioni fiscali, dei quali ha beneficiato dal 1992 al 2002. “Ora – affermano Marco Fars, segretario regionale, e Carmine Tomeo, responsabile lavoro regionale Prc-Se - ha deciso di andare a spremere più intensamente lavoratori laddove dove minori sono i diritti garantiti. Della serie... prendi i soldi e scappa...”.

“Agevolazioni fiscali, contributi per i contratti di formazione, fondi per il Mezzogiorno, fondi per acquisto di macchinari: ha ricevuto una marea di provvidenze -, aggiunge Ivo Menna, dell'Osservatorio nazionale amianto - Insomma ha ricevuto provvidenze e sostegni economici dello Stato pur di creare occupazione e dare stabilità sociale e benessere alle popolazioni. E siamo alle solite: massimizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite (Ernesto Rossi), la storia che si ripete. Di fronte a tutto ciò, la risposta della proprietà è la fine del polo di Atessa, che per la sua speciale condizione di tecnologia e di capacità operaia risulta essere una delle prime aziende al mondo. Purtroppo la debolezza della politica e dei suoi rappresentanti ci mostra un quadro avvilente e senza speranza per il futuro".

Anche adesso, per evitare la dipartita di Honeywell dall'Italia, il Governo, che ha seguito da vicino la vertenza, con il ministro Carlo Calenda in prima linea, aveva messo sul piatto altri 50 milioni. Ma non sono bastati. “Un Governo – sottolineano diversi lavoratori – che in questa circostanza non ha mostrato autorità, né incisività”. I dipendenti Honeywell hanno lottato, e resistito per sessanta giorni, con uno sciopero ad oltranza e presidi e picchetti permanenti. Tutto ciò contro una “delocalizzazione infame”. Mentre Honeywell era affaccendata a portare avanti il back up dei codici produttivi e a, far presente, in comunicati stampa e lettere, che era “disposta al dialogo”, che non c'è stato. E mentre Fiom, Fim e Uilm e istituzioni attendevano un piano di rilancio per il sito di Atessa. “Invece si è colpito al cuore un intero territorio”, denuncia la Fiom Cgil.

“La speculazione – aggiungono Sinistra italiana e Mdp – ha messo fine alla stabilità di centinaia di famiglie. Ora bisogna individuare una strada percorribile che possa tutelare quantomeno la dignità degli operai”. Honeywell, in una nota, ribadisce la volontà di "ristrutturare il proprio stabilimento" situato in Abruzzo "nel corso del secondo trimestre del 2018". Un sito - evidenzia - "che da diversi anni si trova ad affrontare problemi di sovracapacità e di competitività a causa del declino dei motori diesel e della crescente concorrenza internazionale". "Strano - dichiarano i sindacalisti - che poi apra un impianto gemello, con le stesse produzioni, in Slovacchia". L'azienda sottolinea, inoltre, che "sarà disponibile fin da subito ad avviare il dialogo per individuare le soluzioni migliori che possano minimizzare l'impatto su tutte le persone coinvolte". Si parla già di proposte di accordi di buonuscita e incentivazioni all'esodo.

Sulla questione interviene l'arcivescovo metropolita di Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti. "Questa vicenda - dice - mi riempie di angoscia e stigmatizzo il comportamento delle multinazionali che pensano solo al profitto. Mi auguro - aggiunge - che le autorità competenti intervengano, che ci sia un sussulto di civiltà, perchè svendere il lavoro e la sua dignità è fatto molto grave". “La notizia, certo ferale, della chiusura, non ha ci ha colto di sorpresa – spiega Davide Di Giulio, che lavora in quest'azienda dal '99 -. In cuor nostro sapevamo che le intenzioni non erano positive: se vuoi risolvere un problema, lo affronti subito, non lasci trascorrere tempo, inutilmente. E' accaduto quello che temevamo. Ora siamo in attesa, - aggiunge -, l'auspicio è che subentri qualcun altro. Perché – spiega- di passaggi ne abbiamo già subiti diversi: all'inizio era Piaggio, poi diventata Mitsubishi, che si è trasformata in Allied Signal fino ad Honeywell Garrett. Certo le condizioni erano diverse”.

17 novembre 2017


Serena Giannico

Le foto dell'ultima assemblea sindacale Honeywell, ad Atessa, sono di Andrea Franco Colacioppo

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